Consigli agli italiani
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Informatevi
Il sito www.viaggiaresicuri.it, curato dall’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con l’ACI, fornisce informazioni quanto più aggiornate possibile su tutti i Paesi del mondo.
Nella pagina del Paese dove intendete recarvi appare in primo piano un AVVISO PARTICOLARE con un aggiornamento sulla situazione corrente, in particolare su specifici problemi di sicurezza, fenomeni atmosferici, epidemie, ecc.
Oltre all’Avviso Particolare è disponibile la SCHEDA INFORMATIVA, che fornisce informazioni aggiornate sul Paese in generale, con indicazioni sulla sicurezza, la situazione sanitaria, indicazioni per gli operatori economici, viabilità e indirizzi utili.
Ricordatevi di controllare www.viaggiaresicuri.it
anche poco prima della vostra partenza perché le situazioni di sicurezza dei Paesi esteri e le misure normative e amministrative possono variare rapidamente: sono dati che aggiorniamo continuamente.
Potete acquisire le informazioni anche attraverso la Centrale Operativa Telefonica dell’Unità di Crisi attiva tutti i giorni (con servizio vocale nell’orario notturno):
• dall’Italia 06-491115
• dall’Estero +39-06-491115
Informateci
Prima di partire potete anche registrare il vostro viaggio sul sito www.dovesiamonelmondo.it indicando le vostre generalità, l’itinerario del viaggio ed un numero di cellulare. Grazie alla registrazione del vostro viaggio, l’Unità di Crisi potrà stimare in modo più preciso il numero di italiani presenti in aree di crisi, individuarne l’identità e pianificare gli interventi di assistenza qualora sopraggiunga una grave situazione d’emergenza.
Tutti i dati vengono cancellati automaticamente due giorni dopo il vostro rientro e vengono utilizzati solo in caso d’emergenza per facilitare un intervento da parte dell’Unità di Crisi in caso di necessità.
Oltre che via internet, potete registrarvi anche con il vostro telefono cellulare, inviando un SMS con un punto interrogativo ? oppure con la parola AIUTO al numero 320 2043424, oppure telefonando al numero 011-2219018 e seguendo le istruzioni.
Assicuratevi
Suggeriamo caldamente a tutti coloro che sono in procinto di recarsi temporaneamente all’estero, nel loro stesso interesse, di munirsi della Tessera europea assicurazione malattia (TEAM), per viaggi in Paesi dell’UE, o, per viaggi extra UE, di un’assicurazione sanitaria con un adeguato massimale, tale da coprire non solo le spese di cure mediche e terapie effettuate presso strutture ospedaliere e sanitarie locali, ma anche l’eventuale trasferimento aereo in un altro Paese o il rimpatrio del malato, nei casi più gravi anche per mezzo di aero-ambulanza.
In caso di viaggi turistici organizzati, suggeriamo di controllare attentamente il contenuto delle assicurazioni sanitarie comprese nei pacchetti di viaggio e, in assenza di garanzie adeguate, vi consigliamo fortemente di stipulare polizze assicurative sanitarie individuali.
È infatti noto che in numerosi Paesi gli standard medico-sanitari locali sono diversi da quelli europei, e che spesso le strutture private presentano costi molto elevati per ogni tipo di assistenza, cura o prestazione erogata. Negli ultimi anni, la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie (DGIT) ha registrato un aumento esponenziale di segnalazioni di casi di italiani in situazioni di difficoltà all’estero per ragioni medico-sanitarie.
Occorre ricordare che le Rappresentanze diplomatico-consolari, pur fornendo l’assistenza necessaria, non possono sostenere nè garantire pagamenti diretti di carattere privato; soltanto nei casi più gravi ed urgenti, esse possono concedere ai connazionali non residenti nella circoscrizione consolare e che versino in situazione di indigenza dei prestiti con promessa di restituzione, che dovranno essere, comunque, rimborsati allo Stato dopo il rientro in Italia.
Per ottenere informazioni di carattere generale sull’assistenza sanitaria all’estero, si rinvia al sito del Ministero della Salute, evidenziando in particolare il servizio “Se Parto per…” che permette di avere informazioni sul diritto o meno all’assistenza sanitaria durante un soggiorno o la residenza in un qualsiasi Paese del mondo.
Maria Assunta Accili, Ambasciatore.
Adriano Benedetti, Ambasciatore.
Giuseppe Berutti Bergotto, Ammiraglio.
Anna Bincoletto, Collaboratrice.
Paolo Casardi, Ambasciatore.
Domenico Letizia, Giornalista.
Eleonora Lorusso, Giornalista.
Agata Lucchetta, Collaboratrice.
Maurizio Melani, Ambasciatore.
Laura Mirachian, Ambasciatore.
Giuseppe Morabito, Ministro Plenipotenziario.
Luca Mozzi, Sconfinare.
Roberto Nigido, Ambasciatore.
Carlo Maria Oliva, Ambasciatore.
Giorgio Radicati, Ambasciatore.
Stefano Ronca, Ambassador.
Romano Toppan, Accademico.
Luca Volpato, Ufficio Italiano del Consiglio d’Europa.
Il profilo biografico di Kim Jong-un
È nato a Pyongyang nel 1983. Figlio di Kim Jong-il, ha studiato Scienze informatiche e ottenuto due lauree, una in Fisica all’Università Kim Il Sung e un’altra presso l’Accademia militare. Ha proseguito poi gli studi in Svizzera (sotto pseudonimo) alla scuola pubblica di Berna. Soprannominato il “brillante compagno”, nel 2010 è stato nominato generale dell’Esercito, nonché eletto membro del Comitato centrale del Partito del Lavoro e vicepresidente della sua Commissione militare. Dal dicembre 2011, mese in cui il padre è morto, è alla guida del paese (coadiuvato dallo zio Jang-Song-thaek); terzogenito, è stato preferito ai fratelli Kim Jong Nam e Kim Jong Chol, suscitando non pochi timori nella comunità internazionale, preoccupata anche per il possibile acuirsi delle tensioni con la Corea del Sud. Nominato maresciallo dell'esercito nel luglio 2012, alle elezioni parlamentari per il rinnovo dell'Assemblea suprema del popolo svoltesi nel marzo 2014 con un’affluenza alle urne del 99% l'uomo politico, unico candidato per il suo distretto, ha prevedibilmente ottenuto il 100% delle preferenze. Il regime dittatoriale instaurato da Kim Jong-un, che ha operato una serie di cambiamenti in seno alle istituzioni centrali del Paese, inasprendo ulteriormente la politica attuata da Kim Jong-il e ampliando il programma di armamento nucleare e balistico nonostante le sanzioni economiche della comunità internazionale, ha incrementato le ostilità nei rapporti con gli Usa, divenuti particolarmente tesi dopo l'elezione alla presidenza statunitense di Donald Trump, e suscitato forti contraddizioni anche in quelle con la Cina, che pur confermandosi alleato principale del regime nordcoreano ha assunto posizioni più caute e mediatrici. Nonostante le sanzioni economiche imposte al Paese dalla comunità internazionale, sotto il suo regime dittatoriale i test atomici sono proseguiti, ciò incrementando l’ostilità nei rapporti con gli Stati Uniti, che hanno conosciuto momenti di forte tensione a seguito del lancio nel luglio 2017 di missili balistici intercontinentali e delle reiterate minacce di un attacco contro il territorio statunitense di Guam. Una fase di progressivo disgelo si è aperta nei mesi successivi, a partire dalla distensione delle relazioni con la Corea del Sud favorita dalle Olimpiadi invernali del febbraio 2018 e dai tentativi di evitare contrapposizioni frontali con l'amministrazione Trump. Dopo le dichiarazioni di Kim Jong-un dell'aprile 2018 sulla rinuncia ai test nucleari e missilistici e il suo invito al presidente degli Stati Uniti a dialogare sulla crisi nucleare, nello stesso mese si è tenuto nel villaggio di Panmunjŏm uno storico incontro tra l'uomo politico e il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in in cui sono stati discussi temi nodali quali la rinuncia alle armi nucleari da parte di Pyongyang e un trattato di pace fra le Coree, mentre nel mese di giugno Kim Jong-un e Trump hanno firmato un documento per la denuclearizzazione della Penisola coreana nel summit svoltosi sull'isola di Sentosa (Singapore). Nell'agosto 2020 il leader nordcoreano, prolungatamente assente dalla vita pubblica, ha delegato parte dei poteri alla sorella minore Kim Yo-jong, direttore del Dipartimento organizzazione e orientamento del comitato centrale del Partito del lavoro.
(Treccani)
Dialogo Diplomatico con la partecipazione del Direttore Centrale per l’Africa sub-sahariana del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Min. Plen. Giuseppe MISTRETTA e dell’Ammiraglio di Squadra Giuseppe BERUTTI BERGOTTO, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina
e con la partecipazione degli Ambasciatori del Circolo di Studi Diplomatici:
Maria Assunta ACCILI, Adriano BENEDETTI, Paolo CASARDI, Giorgio MALFATTI di MONTE TRETTO, Maurizio MELANI, Laura MIRACHIAN, Giuseppe MORABITO, Carlo Maria OLIVA, Stefano RONCA.
Paolo Casardi: cari amici, benvenuti al Dialogo Diplomatico sulla Sicurezza e Cooperazione nel Continente africano. In particolare, vorrei dare il più caldo benvenuto tra noi ai nostri due ospiti: l’Ammiraglio di Squadra Giuseppe Berutti Bergotto, Sottocapo di Stato Maggiore della Marina e il Ministro Plenipotenziario Giuseppe Mistretta, Direttore Centrale Africa della Farnesina, che consideriamo ormai un caro amico, che non ha bisogno di presentazioni.
L’Ammiraglio Berutti Bergotto ci visita invece per la prima volta, prendendo il posto del Capo di Stato Maggiore, l’Ammiraglio di Squadra Enrico Credendino, chiamato ad altra urgente, imprevista, incombenza internazionale.
Segnalo alcuni aspetti della Carriera dell’Ammiraglio Berutti Bergotto, esperto di missioni navali nord-africane, che dimostrano come, in ogni grado, l’Ammiraglio abbia ricevuto incarichi del più alto livello. Nel 2005, da Capitano di Vascello ha seguito l’allestimento del cacciatorpediniere Andrea Doria, una delle navi più prestigiose della nostra flotta, assumendone poi il comando. Da Ammiraglio, ha comandato la seconda divisione navale, quella di Taranto, insieme al comando delle Forze d’altura italiane, prendendo, al termine, la responsabilità della Direzione del Personale della Marina. Da un anno è stato nominato Sottocapo di Stato Maggiore.
Bene, tornando al nostro Dialogo Diplomatico, sappiamo che oltre all’UE e ai suoi membri e oltre agli Stati Uniti e alla Russia, oggi ormai anche la Cina ha diffuso la propria influenza geo- economica nel continente, attraverso ambiziose realizzazioni infrastrutturali. Inoltre sono attivi l’Iran, la Turchia e i Paesi del Golfo in determinate aree del continente. Ciò ha causato, secondo anche alcuni colleghi africani, che le differenti “policy” sull’Africa di questi Paesi siano ispirate più dalla competizione strategica, piuttosto che dalla volontà di creare un eco-sistema più prospero per dare spazio allo sviluppo e migliorare le condizioni di vita degli Africani. C’è il rischio, insomma che l’Africa si trasformi nel teatro di una guerra fredda multipolare. All’UE viene chiesto di giocare un ruolo di moderazione di queste tendenze, attraverso anche l’esempio di “buone pratiche” di cooperazione e di moralizzazione.
I colpi di Stato, ben cinque solo nella zona del Sahel in meno di due anni, perpetrati in Burkina Faso, Ciad, Guinea, Mali e Sudan e i due falliti (Guinea Bissau e Niger) sono figli delle predette tensioni?
Niente di nuovo sotto il sole, dirà qualcuno. Oggi però i problemi per l’Africa sono aumentati rispetto al passato, tra difficoltà ambientali e più frequenti guerre. L’arrivo della jihad, le conseguenze della guerra in Ucraina, che a loro volta causano maggiori migrazioni ecc., fomentano forti preoccupazioni che il futuro del continente possa venire seriamente compromesso da tali situazioni. Tenendo conto anche dell’esplosione demografica che vedrà l’Africa superare i due miliardi di abitanti a partire dal 2050. Forse i nostri invitati potrebbero aiutarci a capire meglio situazione e tendenze.
Approfitto della parola ancora un minuto per confermare che abbiamo preoccupazioni anche sulla proiezione marittima degli Stati africani. Ci preoccupa il traffico marittimo di esseri umani, le pratiche della pirateria e del contrabbando di armi, di droga o di rifiuti tossici. Vorremmo capire anche i motivi dell’importante sviluppo delle Marine africane mediterranee (ma anche del Sudafrica) che in alcuni casi dispongono di armamenti imbarcati di cui noi stessi non disponiamo. Ed in ultimo vorremmo sapere cosa dobbiamo pensare della grande concentrazione di basi e di navi militari in Mar Rosso, anche di grandi potenze globali non alleate. Molte grazie,
Possiamo allora cominciare gli interventi degli invitati che avranno a disposizione venti minuti circa per il loro intervento e, dopo gli interventi dei soci, altri dieci minuti per la replica. Il primo intervento dei soci verrà effettuato dal Co-Presidente Amb. Maurizio Melani. Grazie.
Giuseppe Mistretta: ringrazio il Circolo di Studi Diplomatici per avermi invitato per una seconda volta a parlare di Africa. In questa circostanza ci soffermiamo sulla sicurezza nel Continente. Mi è gradito cominciare con un’osservazione che ho sentito fare a Papa Francesco in una recente occasione pubblica: “l’Africa sta rischiando di tornare indietro” egli ha detto, ed ha aggiunto “ma l’Africa non va sfruttata, va promossa”.
Prendendo lo spunto da queste parole, va riconosciuto che in molti territori africani la situazione appare fragile ed instabile, a causa di molteplici fattori, fra cui alcune conseguenze della pandemia Covid 19, e gli effetti della guerra in Ucraina.
Per spiegare le dinamiche africane si ricorre spesso ad una narrazione superficiale tendenzialmente molto positiva, basata su argomenti quali l’ammodernamento delle infrastrutture, la digitalizzazione, la transizione energetica, il potenziale demografico etc..
Circa gli aspetti di maggiore fragilità, quali la presenza di situazioni di grande instabilità politica, economica, sociale, e circa il moltiplicarsi di conflitti e colpi di Stato, si parla meno.
Cercheremo, quindi, di toccare questi temi che non vanno trascurati.
Esiste un arco di instabilità che coinvolge in primis tutta la zona saheliana, fino ad andare a toccare anche il Corno d’Africa, cioè Etiopia e Sudan, Stati che fino a poco tempo fa venivano considerati, pilastri di stabilità regionale, e che oggi patiscono conflitti e lotte interne ancora in corso. I Paesi del Sahel sono stati purtroppo protagonisti di sette colpi di Stato in due anni. Si tratta di un fenomeno molto preoccupante, che si accompagna alle tensioni derivanti dall’offensiva del terrorismo Jihadista.
Ma l’area dell’instabilità si espande anche nella Repubblica Democratica del Congo, dove sono in corso da tempo scontri tra il movimento M23, varie altre milizie e le forze governative; riguarda la Repubblica Centroafricana, il Camerun, diviso tra zona anglofona e zona francofona, e giunge fino al nord del Mozambico, dove esiste un’insorgenza di confusa matrice jihadista.
Mi sembra importante approfondire il fenomeno dei colpi di Stato in Africa occidentale.
Tornati in auge dopo un periodo abbastanza lungo di trasferimenti democratici del potere, il fenomeno ci riporta ad una realtà che si credeva ormai estinta dopo la fine dei regimi dei vari Mobutu, Idi Amin, Gheddafi, Bokassa, Habré etc.
La relativa tranquillità degli scorsi anni sembrava coincidere con l’affermazione dei principi del buon governo e della democrazia, che con grandi difficoltà tentavano di farsi strada nel Continente grazie anche al ruolo dell’African Union.
Ciò che anima spesso tali colpi di Stato militari è uno spirito anti-francese, anti-europeo, anti- occidentale, ed un atteggiamento favorevole alla Russia e a nuovi attori extraeuropei che si affacciano nel Continente.
Tutto ciò ha costretto l’Occidente e l’Ue a riconsiderare quello che si è fatto nel Sahel.
Negli ultimi quattro anni l’Italia in Sahel ha aperto nuove Ambasciate, aumentato la cooperazione, ha avviato una collaborazione di training militare molto importante in Niger e ha operato anche nel quadro della Task Force Takuba, congiuntamente con altre truppe europee, tra cui quelle della Francia e della Danimarca. Partecipiamo alla “Alliance Sahel”, che mette insieme gli sforzi di cooperazione effettuati dai principali partner occidentali, ed anche alla “Coalition pour le Sahel”, e all’Africa Focus Group a guida americana.
Per quanto riguarda il terrorismo in Sahel, esso si espande anche per l’incapacità degli Stati di controllare territori amplissimi, e per la conseguente insoddisfazione delle popolazioni, che oltre a patire la povertà, subiscono i raid del terrorismo jihadista e scontri etnici.
L’accaparramento di risorse rare è un altro dei fattori che si sono sviluppati in quest’ultimo periodo in maniera preoccupante, e che genera ulteriore insicurezza ed instabilità, anche in relazione all’atteggiamento che possiamo definire predatorio da parte dei cosiddetti nuovi attori.
Abbiamo accennato in apertura al fatto che anche la guerra in Ucraina sia oggi uno dei fattori che contribuisce alla instabilità in Africa, sia a causa delle conseguenze alimentari, che per quelle di natura più strettamente politica.
Di fronte a questo quadro complesso, oggi l’Italia e l’Ue individuano in Sahel nella Mauritania e nel Niger i principali partner che, se pur con mille difficoltà, cercano di mantenere gli assetti costituzionali al loro interno. Essi costituiscono oggi il fulcro della collaborazione occidentale nella regione saheliana.
Più in generale, in un momento come questo appare opportuno puntare sugli Stati più stabili ed avanzati economicamente, come Ghana, Senegal, Kenya, RSA, Costa d’Avorio, in modo che possano essere loro stessi volano di stabilità e progresso nei Paesi limitrofi.
Si è parlato prima dei nuovi attori in Africa, quali la Turchia, i Paesi del Golfo, la Russia ed altri, i quali hanno regole di ingaggio nel Continente molto differenti da quelle europee ed occidentali. Essi hanno delle agende nascoste, di natura religiosa, finanziaria, strategica, militare, che non sempre sono in linea con le necessità autentiche del Continente. Soprattutto, essi non hanno a cuore lo sviluppo del buon Governo, dello Stato di diritto, dell’alternanza democratica, della crescita istituzionale degli Stati africani, premure che accompagnano invece le iniziative dell’Ue.
Per quanto concerne la Cina, essa non va considerata un nuovo attore, poiché opera in Africa da decenni, e ha oggettivamente contribuito alla crescita infrastrutturale del Continente.
In conclusione, mi sembra utile ricordare quali siano i pilastri della strategia europea nel Continente africano, ai quali l’Italia si associa pienamente.
Dal vertice UE-UA di Abidjan del 2017, a quello di Bruxelles nel febbraio di quest’anno, si è stabilita un’autentica partnership fra Europa ed Africa. Sotto un profilo strettamente economico si è concordato di dare priorità all’alleviamento della povertà attraverso nuovi investimenti, creazione di imprese, crescita dell’occupazione per i giovani, visto che spesso è proprio la povertà la causa profonda di fenomeni quali criminalità, terrorismo e traffico di esseri umani.
Per questo è stato approvato nel 2022 un piano ambizioso come il “Global Gateway”, stabilito nell’ultimo vertice di Bruxelles, preceduto nel 2017 dall’“European External Investiment Plan”; il Global Gateway prevede investimenti pari a centocinquanta miliardi di euro in Africa da qui al 2027, una cifra di gran lunga maggiore rispetto a quelle che i cosiddetti nuovi attori dedicano al Continente.
Resta però il problema di come stimolare le imprese ad investire in Africa quando permangono situazioni di guerra e di instabilità, o in presenza di una crisi finanziaria senza precedenti, o in condizioni di dissesto idrogeologico dovuto alle terribili conseguenze nel Continente dei cambiamenti climatici. Sono queste le sfide a cui nell’immediato futuro dovremo rispondere.
Giuseppe Berutti Bergotto: ringrazio i membri del Consiglio Direttivo e i Soci del Circolo Studi Diplomatici e in particolare l’Amb. Paolo Casardi e l’Amb. Maurizio Melani per l’invito a discutere, assieme all’Amb. Giuseppe Mistretta, un tema di estrema attualità e interesse comune quale la “Sicurezza e cooperazione in Africa”. Le riflessioni sugli aspetti di instabilità nel continente africano, le loro cause e le strategie che la Comunità Internazionale, con specifico riferimento all’Unione Europea, ha adottato, mi consentono di illustrare il ruolo della Marina Militare in un’area la cui ampiezza e complessità, associate alla rilevanza degli interessi nazionali da salvaguardare, sopra e sotto la superficie del mare, richiedono un attento e prospettico impiego dello strumento marittimo per i compiti attribuiti alla Forza Armata, dall’ordinamento nazionale e quelli derivanti dagli impegni assunti dal Paese nel quadro delle Alleanze e delle coalizioni internazionali cui esso aderisce.
Mi siano consentite, innanzi tutto, alcune considerazioni preliminari: il mare è il bene comune per eccellenza, da cui dipende il nostro progresso.
L'Italia, Paese che la geografia e l’economia ineludibilmente legano a una vocazione marittima, deve al mare e alle attività ad esso connesse gran parte della sua prosperità e della sua sicurezza. Più in generale, il mare ha sempre condizionato la crescita e il progresso di tutte le nazioni. Infatti, oggi circa l’ottanta per cento della popolazione mondiale vive entro i primi duecento chilometri di distanza dalla costa; inoltre, lungo le rotte marittime si muove il 90% di tutto il commercio mondiale, non solo per i vantaggi economici che ne derivano o per vincoli di natura geografica, ma anche per i minori impatti sull’ambiente in termini di inquinamento; utilizzando il mare come sistema di comunicazione per il trasporto dei materiali, il livello di inquinamento è cinque volte inferiore rispetto al traffico su ruota e di tre volte rispetto a quello ferroviario.
Il nostro Paese, che si protende sul mare con i suoi 8.000 chilometri di coste, che ne rappresentano i 7/8 dei confini, è una media potenza regionale a forte connotazione marittima i cui principali interessi, in linea con la recente Direttiva ministeriale per la Strategia di sicurezza e Difesa per il Mediterraneo, emanata dal Ministro della Difesa pro-tempore, si sostanziano nell’area del cosiddetto Mediterraneo Allargato, concetto geopolitico, geostrategico e geoeconomico non nuovo, ma che nel tempo ha contemplato un progressivo allungamento geografico del mar Mediterraneo fino a includere il bacino somalo, il Golfo di Guinea, e lo stretto di Hormuz. È all’interno di quest’area che si concentrano in larga parte gli interessi marittimi italiani, dalla sicurezza e dall’economia al più ampio ruolo geopolitico che il Paese può assumere a livello internazionale. Aggiungo anche quelle aree solo apparentemente più lontane, ma fortemente cogenti, determinate dallo scioglimento dei ghiacci nell’Artico che aprirebbero nuove rotte marittime con ripercussioni sui nostri porti e, più in generale, sul ruolo del Mar Mediterraneo. Basti pensare, a tal riguardo, al porto di smistamento di Gioia Tauro, nel quale giungono grandi navi commerciali provenienti dal canale di Suez e da cui poi ripartono le merci per il resto dell’Italia. La Marina è presente in Artico supportando le campagne di ricerca e di acquisizione dei dati geofisici marini volti a incrementare la conoscenza e lo studio di tali porzioni di mare.
Ritornando al Mar Mediterraneo, esso rappresenta la cerniera tra Europa, Asia e Africa ed è un fondamentale connettore tra le aree oceaniche atlantiche e indo-pacifiche. Garantire la sicurezza dei trasporti marittimi e, più in generale, l’uso sicuro del mare è fondamentale.
In tale contesto, evidenzio l’importanza strategica dei cosiddetti chocke-point; senza libertà e sicurezza della navigazione in questi passaggi obbligati il nostro sistema di import-export semplicemente si ferma. Infatti, per il nostro Paese, Mediterraneo vuol dire prima di tutto navigazione e flussi commerciali «verso» e «tra» Suez, Gibilterra, lo Stretto di Sicilia e gli Stretti Turchi. Riferendoci al Canale di Suez, è opportuno ricordare come l’incagliamento avvenuto nel 2021 della petroliera Ever Given abbia provocato 9,6 miliardi di euro di danni al giorno e il blocco di 400 navi. Tale episodio mostra la vulnerabilità e le relative conseguenze importanti, se non addirittura critiche, sull’economia globale e, in modo particolare, sulla nostra.
Nel 2021 i 51,2 miliardi di euro prodotti dalla blu economy hanno attivato ulteriori 84,8 miliardi di euro, per un ammontare complessivo pari a 136 miliardi di euro, ossia il 9,1% del PIL nazionale. Tali dati evidenziano per ogni euro investito un moltiplicatore 1,7 del «Sistema Mare» e, in particolare, 2,4 del «Settore cantieristica militare e industria ad alta tecnologia correlata». Sottolineo, inoltre, come le attività marittime presentano un elevato livello di integrazione con il resto dell’economia nazionale prettamente di trasformazione e che dipende dal mare per l’approvvigionamento del circa 60% dell’ammontare complessivo di materie prime e circa il 50% del trasferimento delle proprie esportazioni.
Altro punto da sottolineare per avere un quadro ben chiaro e dettagliato dell’importanza del Mar Mediterraneo, riguarda i fondali, ormai veri e propri corridoi strategici per gli approvvigionamenti energetici e la continuità dei servizi telematici. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, contrariamente alla percezione comune, che associa la prevalenza dei traffici dati con i satelliti, il fondo del mare accoglie una fitta rete di cavi che assicurano circa l’ottanta per cento delle trasmissioni su scala globale. A tal riguardo la Marina Militare ha recentemente sottoscritto un accordo con TIM Sparkle, società che si occupa di gestire la maggior parte dei cavi comunicativi che servono l’Italia, fornendo assistenza per la verifica delle condutture che collegano Linosa alla Sicilia.
Venendo alle tematiche odierne e soffermandomi sugli aspetti degli approvvigionamenti energetici, bisogna considerare sia la provenienza del gas naturale sia dove sono ubicati i principali gasdotti italiani. A Nord l’Italia riceve il gas che proviene dalla Russia, dalla Norvegia e dall’Olanda attraverso i due passanti che giungono in Friuli Venezia-Giulia e in Piemonte. Anche il Corridoio Sud necessita di essere particolarmente attenzionato poiché coinvolge Puglia e Sicilia attraversando, rispettivamente, con un collegamento diretto, l’Albania e la Grecia ma anche Libia, Tunisia e Algeria. Dal momento che l’Africa è il continente da cui giunge un considerevole e non indifferente quantitativo di gas naturale, si può ben comprendere come una situazione di incertezza, crisi e destabilizzazione dell’area possa influire nettamente su settori di primaria importanza per l’Italia. Ed ancora, per quanto concerne il traffico marittimo del gas liquefatto, questo proviene principalmente dal Mozambico, ove l’ENI ha impianti di estrazione, trattamento ed esportazione, così come dal Congo e dalla Nigeria.
In termini generali, il contesto di sicurezza in prospettiva marittima va analizzato per tre distinte aree di interesse: Nord Africa/Mediteranno, Golfo di Guinea e Corno d’Africa (Golfo di Aden/Nord Est Oceano Indiano).
Per quanto riguarda il Nord Africa, soprassedendo sul tema Libia, diverse questioni affliggono l’area. Di primaria importanza il deterioramento delle relazioni bilaterali tra Marocco e Algeria; continuando verso Est, la Tunisia da tempo è afflitta da problematiche interne, che ne minano la stabilità, e per concludere l’Egitto, ultimo paese africano che affaccia sul Mediterraneo, sta vivendo al momento una fase di difficoltà, dovuta a numerose criticità concomitanti. Per quanto riguarda il Golfo di Guinea, area di transito strategica per le attività estrattive e per il trasporto di beni da e verso il Mediterraneo, le economie dei paesi rivieraschi sono per lo più basate sullo sfruttamento delle risorse naturali, in primis marittime, ma le fragilità socio-economiche favoriscono la proliferazione di attività criminali e traffici illeciti. Risulta essere la prima area su scala globale per incidenza del fenomeno della pirateria. Infine, per quanto riguarda il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano, area di transito dei commerci che da oriente si dirigono verso il Mediterraneo, da evidenziare che le marine dell’area hanno, nel complesso, capacità insufficienti ad assolvere gli impegni d’istituto (per lo più riconducibili a quelli di una Guardia Costiera).
Il continente africano pone importanti sfide securitarie nel Mediterraneo Allargato, tra le quali il riarmo navale, la pirateria marittima, i traffici illeciti, il proliferare di crisi e di instabilità regionali. Con riferimento alla dislocazione nell’area delle marine di altri paesi, la presenza americana, negli ultimi anni, ha vissuto una progressiva diminuzione, con una maggiore presenza di assetti verso l’Indo-Pacifico. Al contempo, il conflitto armato in Ucraina ha determinato l’incremento navale russo nel Mediterraneo, con una base a Tartus moderna e capace, che però pecca dal punto di vista funzionale, obbligando le navi a tornare periodicamente in madrepatria per i regolari cicli di manutenzione, non esistendo sul posto strutture all’uopo costituite. Senza inoltre sottacere la base realizzata a Port Sudan che attraverso il canale di Suez supporta le capacità russe di accesso al Mediterraneo.
Il riarmo navale ha riguardato varie marine del bacino del Mediterraneo e, in particolare, Algeria, Turchia ed Egitto. La marina Algerina ha avuto una crescita notevole negli ultimi ventidue anni, passando da una flotta di pochissime e piccole unità, ad impegnare il sei percento del PIL nel 2019 per la difesa marittima. Dispone di navi di elevato livello tecnologico e di variegate capacità operative, inclusa quella anfibia. Il primo fornitore rimane la Russia, dalla quale gli Algerini hanno acquisito anche sommergibili con capacità di lancio dei missili “deep strike”. La Turchia ha incrementato in pochi anni l’organico da quarantamila unità ai sessantamila di oggi, acquisendo anche la capacità di costruzione propria di unità navali. Infine l'Egitto prosegue a ritmo elevato l’ammodernamento della sua flotta, avviato 10 anni fa. Quale portata del rinnovamento, indico che nel recente passato, la marina egiziana si è dotato di fregate FREMM italo-francesi e unità anfibie; inoltre per quel che concerne l'ammodernamento della flotta subacquea, si è rivolta ai tedeschi per l'acquisizione di battelli.
Toccando adesso il punto di vista securitario, si può considerare l’Africa divisa in tre regioni: il Nord Africa/Sahel e le sue estremità meridionali del Golfo di Aden e del Golfo di Guinea. Sono state attivate missioni diplomatiche, per consentire a tali Paesi di avere la possibilità di un maggiore controllo del traffico mercantile. Si sta cercando di estendere questa capacità in tutto il territorio africano, promuovendo la creazione di un sistema per il monitoraggio del traffico navale. Un tale sistema potrebbe così contribuire a ridurre, con la presenza di navi di controllo, il fenomeno della pirateria che ad oggi risulta essere ben presente e pressante nel Golfo di Guinea, pur essendosi ridotto notevolmente, con un numero di casi ancora pari a 20 nell’anno corrente, quando nel 2018 se ne sono contati 143. Nell'ultimo decennio, gli sforzi per generare una cooperazione di sicurezza marittima tra i governi e le regioni del continente hanno prodotto un quadro sempre più chiaro per un approccio africano alla sicurezza marittima. Mentre gran parte del Nord Africa coopera con l'Europa meridionale attraverso l'Iniziativa di Difesa 5 + 5, i codici di condotta di Gibuti e Yaoundé sono i principali pilastri della cooperazione per la sicurezza marittima per il resto del continente. Il Codice di Gibuti ha riunito diversi stati della penisola arabica insieme a tutti gli stati dell'Africa orientale, meridionale e dell'Oceano Indiano, dall'Egitto al Sud Africa, per cooperare nella lotta alla pirateria. Prendendo ispirazione da questa iniziativa e affrontando in proprio questo problema, gli stati del più ampio Golfo di Guinea, dal Senegal all'Angola, hanno formato il Codice di Yaoundé nel 2013.
La sicurezza e la stabilità del continente africano è cruciale per l’Italia e per l’Unione Europea. L’impegno della Marina si estrinseca lungo i tre settori di riferimento che ho enunciato: Mediterraneo, Golfo di Guinea e la zona Nord-Est dell’Oceano Indiano, sia in termini cooperativi che operativi, nell’ambito di relazioni bilaterali, multilaterale e nel quadro delle Alleanze strutturate. Con tale approccio la Marina sostiene e promuove azioni per la sicurezza marittima e la difesa delle linee di comunicazione marittime e della libertà di navigazione, la tutela degli interessi nazionali, il concorso alla stabilità regionale e alla gestione delle crisi, nel quadro delle Alleanze, al supporto e allo sviluppo di un dialogo aperto e strutturato, sino alla promozione della competitività nazionale e della cooperazione industriale, in ottica sistema Paese.
Innanzitutto, nel voler fornire un breve aggiornamento circa le attività della Marina Militare, evidenzio come l’Operazione Mediterraneo Sicuro, nata a seguito dell’allargamento dell’area di operazioni della precedente Operazione Mare Sicuro, rappresenti l’operazione cardine per la tutela degli interessi nazionali presenti nell’area del Mediterraneo, il contrasto delle attività illecite via mare, la difesa delle vitali linee di comunicazione marittima che lo attraversano, la sicurezza energetica e la protezione delle infrastrutture critiche, incluse le condotte subacquee.
Sul piano dell’impegno nell’ambito dell’Unione Europea, l’Operazione IRINI ha il compito principale di contribuire a prevenire il traffico di armi nel teatro dell'operazione e attuare l'embargo sulle armi imposto dall'ONU. In particolare, la missione svolge ispezioni sulle imbarcazioni in alto mare al largo delle coste libiche sospettate di trasportare armi o materiale connesso da e verso la Libia. I compiti secondari di IRINI tendono ad un’evoluzione dell’operazione verso un più ampio impegno nel settore della maritime security a 360 gradi. La Marina contribuisce ad IRINI assicurando il Comando Operativo e continuità di assetti operativi.
Per quanto concerne il contrasto del fenomeno della pirateria nell’area del Golfo di Aden e del bacino somalo, la Marina contribuisce all’operazione ATALANTA assicurando con regolarità assetti operativi e il comando tattico. Tale attività costituisce la prima operazione militare a carattere marittimo a guida europea. Nell’ultimo decennio, la persistenza navale nel Golfo di Aden ha portato un’area considerata ad alto rischio ad avere praticamente zero eventi di pirateria. In ragione di ciò, dal 1 gennaio 2023 IMO dichiarerà la cancellazione dell’area ad alto rischio in Oceano Indiano nordoccidentale.
Lo scorso luglio, l’Italia ha assunto il Comando dell’Operazione EMASOH nel secondo semestre 2022 alimentando lo staff e rendendo disponibile Nave THAON di REVEL, Pattugliatore Polivalente d’Altura di nuova generazione, quale Unità sede di Comando. Tale Operazione è stata attivata da alcuni paesi europei, tra i quali l’Italia, a seguito della crescente situazione di insicurezza e instabilità provocata da numerosi incidenti marittimi e non marittimi accaduti nel 2019. L’operazione ha il fine di assicurare, attraverso una strategia de-escalatoria, la stabilità nella regione e la libertà di navigazione.
Nel Golfo di Guinea, la Marina ha costituito l’Operazione GABINIA, missione a carattere nazionale di antipirateria, presenza, sorveglianza e sicurezza marittima, quale risposta coerente al progressivo aumento dei rischi e del livello di minaccia alla sicurezza marittima in tale area.
Infine, la Multinational Force & Observers (MFO) dislocata nella Penisola del Sinai dal 1982 e che da allora opera per il controllo della fascia di confine tra Egitto ed Israele, dal Mediterraneo a Sharm El Sheikh e nello stretto di Tiran. La partecipazione della Marina alla parte marittima della MFO garantisce presenza e sorveglianza nelle acque del Mar Rosso e Golfo di Aqaba con un contingente costituito da tre pattugliatori Classe ESPLORATORE.
Molte delle sfide securitarie che oggi si riverberano sul Mediterraneo Allargato traggono origine dal continente africano, tanto dalle fasce settentrionali quanto dalle propaggini sub-sahariane. Ciò richiede di porre grande impegno e attenzione nelle dinamiche di sicurezza e di cooperazione nei confronti dell’Africa, la cui stabilità è essenziale per arginare la diffusione di crisi e di traffici illeciti, per la nostra sicurezza energetica ed economica nonché scongiurare il rischio di deterioramento del quadro securitario nella regione mediterranea.
Maurizio Melani: ringrazio innanzi tutto l'Ammiraglio Berutti Bergotto e il collega Mistretta per le loro molto interessanti ed esaurienti esposizioni.
L'Africa è fondamentale per l'Italia e per l'Europa. Sui piani della sicurezza, degli approvvigionamenti energetici, delle prospettive di sviluppo sostenibile sui due lati del Mediterraneo, della gestione dei fenomeni migratori. I vantaggi della globalizzazione, prima che ne emergessero le criticità, hanno coinvolto negli scorsi decenni il continente africano. Nella prima decade di questo secolo i tassi di crescita sono stati elevati. I maggiori flussi finanziari erano costituiti da investimenti diretti, privati o comunque effettuati con logiche di mercato, da paesi sviluppati ed emergenti che hanno anche stimolato investimenti interni, dalle rimesse degli emigranti e meno da aiuti pubblici allo sviluppo, bilaterali o multilaterali nelle forme classiche dei doni e dei crediti fortemente agevolati. Milioni di persone sono uscite dalla povertà e si è assistito alla crescita di una classe media parallela ad un forte processo di urbanizzazione. Tale sviluppo è stato però ineguale e spesso discriminatorio su base etnica o di altro tipo o quantomeno percepito come tale. Esso è stato inoltre sostanzialmente arrestato con effetti cumulativi dalla crisi economico-finanziaria negli Stati Uniti e in Europa, dalla pandemia e dagli effetti sempre più intensi e diffusi dei cambiamenti climatici, dei processi di desertificazione, degli spostamenti di popolazione e dei conflitti che con questi si sono intrecciati assieme all'offensiva jihadista, con conseguenze sulla sicurezza globale in senso lato inclusa quella vitale per l'economia mondiale della libertà di navigazione lungo le coste africane su cui si è così ben soffermato l'Ammiraglio Berutti Bergotto. La guerra in Ucraina ha ulteriormente prodotto effetti nefasti.
Sul piano politico e istituzionale l'Africa aveva conosciuto dopo la fine della guerra fredda e delle sue rigidità una stagione di diffusa anche se precaria democratizzazione. Fine di molti regimi a partito unico prevalentemente retti da militari, pluripartitismo, spesso però su base etnica, governi eletti e trasferimenti del potere attraverso elezioni e non colpi di stato. Le elezioni si sono però frequentemente rivelate fattori di instabilità. I vincitori non hanno in varie occasioni rinunciato ad escludere gli altri e a non riconoscere adeguatamente i diritti dell'opposizione. E gli sconfitti, a ragione o a torto, hanno spesso rifiutato i risultati elettorali denunciando brogli e irregolarità invalidanti. I nuovi sistemi hanno quindi evidenziato le loro fragilità sia pure con intensità diverse. Molto acute quelle negli Stati della fascia saheliana ove i fenomeni destabilizzanti e di sfaldamento delle strutture statali si sono maggiormente manifestati ed ove più evidente è la ripresa della stagione dei colpi di Stato.
In questo processo si è assistito a mutamenti negli equilibri delle influenze esterne. Quella francese, dopo il riaggiustamento al ribasso di quella britannica negli anni precedenti, aveva già subito un ridimensionamento fin dagli anni ‘90 a vantaggio, allora, degli Stati Uniti che con l'Amministrazione Clinton avevano aumentato la loro attenzione verso il continente africano, e del Sud-Africa liberatosi del peso dell'apartheid. Nel secondo decennio di questo secolo le difficoltà nel contrastare l'offensiva jihadista soprattutto nel Sahel incontrate dalla Francia e dai suoi alleati europei inclusa l'Italia, e dagli stessi Stati Uniti, hanno dato spazio alla penetrazione russa nel campo della sicurezza a favore di regimi progressivamente meno legati alla Francia, spesso in cambio di vantaggi nell'acquisizione di risorse minerarie e di dividendi politici utili nel quadro della rinnovata azione politica della Russia verso il Medio Oriente, il Mediterraneo e l'Europa Orientale. Parallelamente è molto cresciuta la presenza della Cina. Questa ha realizzato nuove infrastrutture, non sempre della migliore qualità ma comunque necessarie allo sviluppo non solo dei singoli paesi ma anche della cooperazione regionale. Ha favorito in alcuni casi un avvio di attività industriali preceduto però da disinvolte forme di accaparramento di risorse minerarie e agricole e da un crescente indebitamento che sotto questo profilo sembra portare il continente indietro di decenni.
Sta di fatto che in questo contesto l'Europa e l'Occidente in generale vedono comparativamente ridursi rispetto a nuovi attori le loro capacità di incidenza in un continente per noi così importante. Oltre a quelli già indicati, tali attori sono la Turchia e i paesi del Golfo soprattutto nel Nord Africa e nel Corno, ciascuno con le proprie agende spesso in contraddizione tra loro. È vero che l'Europa, come ha ben evidenziato Giuseppe Mistretta, ha un programma di interventi molto maggiori di quelli di altri. Ma è anche vero che come dimostrano gli sviluppi in Libia e in altre aree di crisi si è molto meno in grado di prima di operare per favorire processi di stabilità sostenibile.
Se vi è un aspetto positivo da rilevare è che malgrado le crisi politico istituzionali in numerosi paesi le istituzioni regionali e in particolare l'Unione Africana sembrano reggere, pur con tanti limiti e difficoltà, nell'affermare un loro ruolo nella gestione e soluzione dei conflitti grazie anche al sostegno fornito soprattutto dall'Unione Europea e avviato a suo tempo dal Presidente Prodi. Lo si è visto nel negoziato per la pace, ancora precaria, tra Governo etiopico e TPLF tigrino e in altre situazioni in un passato più o meno recente. Lo si è visto invece meno nei tentativi di soluzione della disputa sulle acque del Nilo tra Egitto, Sudan ed Etiopia.
Cosa fare? Si sente spesso parlare di un grande piano di sviluppo dell'Africa, collegato soprattutto all'aspetto migratorio. Per essere efficace esso non può limitarsi al potenziamento degli incentivi e delle capacità a fermare i flussi come si è in parte fatto con la Turchia. Esso dovrebbe invece affrontare il problema in tutti i suoi aspetti. Quelli dell'adattamento ai cambiamenti climatici e del contrasto della desertificazione, attuando seriamente gli impegni in favore dei paesi più vulnerabili presi con l'accordo di Parigi e ribaditi dalla COP 27 di Sharm el Sheikh, del sostegno alle organizzazioni regionali assieme alle Nazioni Unite per la soluzione dei conflitti con mezzi civili e militari, della realizzazione di infrastrutture e di uno sviluppo energetico che dia uno spazio sempre maggiore alle fonti rinnovabili di cui l'Africa ha grandi potenzialità, del sostegno allo sviluppo di attività produttrici di reddito e di occupazione, della ricostruzione delle istituzioni, dello stabilimento di consistenti canali di migrazione legale e di mobilità circolare. Per essere efficace deve avere dimensioni ben maggiori di quelle finora considerate e deve necessariamente comportare una collaborazione tra l'UE, gli Stati Uniti, malgrado le sue attuali priorità in altre aree, ed anche, come ha opportunamente rilevato Giuseppe Mistretta, della Cina. Tutti attori che per ragioni diverse hanno quanto meno un interesse ad una stabilità e ad uno sviluppo sostenibile nel continente africano. Si tratta di una prospettiva senza dubbio difficile ma che va perseguita. E sarebbe bene che soprattutto Italia, Francia e auspicabilmente Germania ne siano promotrici assieme alle Istituzioni europee.
Maria Assunta Accili: vorrei ringraziare i nostri relatori per le loro esaurienti presentazioni che hanno evidenziato con chiarezza la rilevanza del continente africano per la sicurezza e la prosperità del nostro Paese.
Nonostante i progressi che si sono registrati in diversi ambiti, l’Africa resta una grande fonte di instabilità alle porte dell’Europa e la soluzione dei complessi problemi che affliggono il continente non sembra, purtroppo, a portata di mano. Sembra anzi che in alcune aree si sia registrata una regressione, nonostante gli sforzi messi in atto da numerosi attori, inclusa l’Italia: la lotta alla povertà e al sottosviluppo trova un limite nella crescita demografica senza precedenti che riduce le possibilità di accesso al cibo, all’acqua potabile, alla sanità e all’educazione; i cambiamenti climatici accentuano la desertificazione e la riduzione delle aree produttive per l’agricoltura e l’allevamento che sono cruciali per il sostentamento di molte nazioni africane; crisi debitoria e pessima amministrazione delle risorse rendono sempre più fragile la situazione finanziaria di molti Stati; conflitti tribali, radicalismo jihadista e terrorismo favoriscono massicci e disordinati movimenti di popolazioni interni e verso l’Europa; carenze di governance, continui colpi di stato, corruzione e manifesto disprezzo della rule of law scatenano tensioni sociali pronte ad esplodere nelle piazze e pregiudicano una soluzione adeguata e sostenibile delle problematiche continentali, mentre attività illecite di ogni sorta, con particolare riferimento alla pirateria e ad ogni genere di traffici, incluso quello drammatico di essere umani, proliferano grazie all’intraprendenza della criminalità organizzata transnazionale in assenza di efficaci politiche di riforma e di contrasto alla violenza e al sopruso. Né sembra che l’attivismo di alcuni Paesi che tentano di sostituirsi alle vecchie potenze coloniali con obiettivi diversi - dall’incremento dell’influenza globale all’espansione economica aggressiva, dalla promozione di modelli societari autocratici alla diffusione di specifiche ideologie o religioni - quali in primo luogo Cina, Russia e Turchia, stia producendo una significativa attenuazione dei fattori di crisi. Pare anzi che essi aggiungano nuovi elementi di contraddizione al quadro fragile e complesso che ci è stato accuratamente delineato.
La volatilità del contesto geo-politico africano, pesantemente condizionato anche dai conflitti dichiarati e latenti in Medio Oriente e dalle ripercussioni della guerra in Ucraina, ha un impatto effettivo e crescente sul nostro Paese che giustifica ampiamente l’esigenza di lavorare per un “Mediterraneo sicuro” evocata dall’Ammiraglio Berutti Bergotto.
Come recitava un vecchio detto britannico, “control of the sea keeps the world free”. E ciò vale anche per l’Italia di oggi che ha bisogno di proteggere i mari che la circondano a garanzia della propria sicurezza e della libertà di navigazione. Il Mediterraneo resta infatti un canale di collegamento e di scambio tuttora fondamentale per l’economia nostra e del mondo: non antagonista né alternativo, ma parallelo allo sviluppo del quadrante indo-pacifico. Fatti salvi i necessari aggiornamenti, le “Linee di indirizzo strategico per la Marina Militare 2019-2034” ed il più recente Compendio su Sicurezza e Difesa marittima offrono un’analisi ed una prospettiva pienamente condivisibili sui nostri interessi marittimi e sull’impatto che hanno su di essi le problematiche africane. Sarei dunque grata per un approfondimento su tre aspetti della questione che mi sembrano centrali e che a mio avviso debbono favorire una rinnovata attenzione per il rafforzamento del Marina Militare italiana: il relativo disimpegno americano, le ambizioni russe e il complesso dualismo che caratterizza i rapporti con Paesi partner/concorrenti quali ad esempio Turchia ed Egitto.
Come risulta evidente dallo screenshot presentato dal Sottocapo di Stato Maggiore, che mostra un impressionante affollamento di navigli potenzialmente anche ostili, il Mediterraneo resta per l’Italia una priorità strategica e siccome sul Mediterraneo si ripercuotono tutte le criticità africane è necessaria una politica estera incisiva verso l’Africa, possibilmente coordinata con i nostri partner europei, che non può prescindere da una politica di difesa credibile.
Proteggere le comunicazioni e i trasporti, gli scambi, le reti digitali, l’approvvigionamento di materie prime soprattutto con riguardo a quelle energetiche e di terre rare, lo sfruttamento sostenibile delle risorse ittiche e la sicurezza della navigazione in generale è un obiettivo fondamentale per la tutela della prosperità e della libertà del nostro Paese e mi auguro che la Marina Militare possa essere messa in grado di affrontare con adeguate risorse le sfide attuali e latenti.
Laura Mirachian: ringraziando i nostri ospiti per l’autorevole analisi del quadro di grave e diffusa instabilità nel continente africano e dell’operato della Marina italiana, mi preme avere il giudizio qualificato di quanti sono direttamente impegnati nel prestare un contributo concreto al problema delle migrazioni. In particolare, nel passaggio da MARE NOSTRUM all’operazione SOPHIA all’operazione IRINI cos’è cambiato? L’aspetto di sicurezza e l’aspetto umanitario si intrecciano, infatti, fino a rendere problematica una lettura chiara delle singole missioni in parola e dell’evoluzione registrabile negli anni delle operazioni in mare che vedono l’Italia e l’Europa protagonisti. Pregherei di estendere il giudizio alle prospettive future, avendo a mente gli imperativi di efficienza, efficacia, e non ultimo di moralità. Grazie.
Giuseppe Morabito: Ammiraglio, solo una domanda brevissima. Sono rimasto molto colpito e sorpreso quando lei ha detto che la Marina Militare italiana ha in pattugliamento ogni giorno contemporaneamente venti navi. Un numero molto consistente. Un impegno considerevole in uomini e mezzi. Vorrei sapere, a titolo di paragone, qual è l’impegno, in termini di navi, delle altre Marine Militari europee, in particolare di quelle di Stati comparabili al nostro, che pure spendono di più per la Difesa. Mi riferisco in particolare alla Francia, che però immagino oltre al continente africano sarà interessata ai Territori d’Oltremare come quelli dei Caraibi o della Polinesia francese, alla Germania ed alla Gran Bretagna (che pur non facendo parte dell’Unione Europea è pur sempre un Paese europeo). La ringrazio.
Adriano Benedetti: innanzitutto un ringraziamento sentito ai nostri due illustri relatori che ci hanno tratteggiato con competenza e approccio sincero il tema che oggi abbiamo affrontato. Anche se non si è strutturalmente pessimisti, come è invece il mio caso, è difficile vedere nell’attuale situazione dell’Africa se non motivi di preoccupazione e di disagio per l’Occidente. Negli ultimi decenni, abbandonate le speranze, purtroppo frutto di un infondato ottimismo, relative ad un rapido processo di sviluppo e di assestamento economico-politico, dobbiamo constatare che la situazione complessiva del continente è all’insegna di un progressivo deterioramento. Lo sviluppo langue in buona parte dell’Africa, si addensano in molti paesi problematiche che lasciano intravvedere sempre più incombenti ipotesi di “failed states” e di involuzione, non meno, d’altro canto, realtà di una crescente sproporzione tra popolazione e risorse utilizzabili. Da qui inarrestabili movimenti migratori non solo all’interno del continente ma diretti anche verso nord, verso l’Europa. I paesi occidentali, in primo luogo quelli europei, avvertono sempre più la difficoltà di far fronte in Africa a tendenze socio-economico-politiche decisamente negative. È inevitabile constatare che, nell’attuale fase storica, l’Europa in particolare fatica a gestire le sfide che provengono da una decolonizzazione non riuscita e rancorosa. Altre potenze, invece, sembrano intenzionate a contendere il ruolo svolto in Africa sino a non molto tempo fa dai paesi occidentali. Non vi è dubbio che Cina, Russia e Turchia hanno puntato i loro riflettori sull’Africa. Per la Cina si tratta di una politica ormai consolidata da parecchi anni. La presenza cinese nel continente è sempre più radicata e diffusa. Le modalità dell’impegno cinese (grandi investimenti soprattutto in opere infrastrutturali e apparente estraneazione dalle vicende politiche interne) presentano aspetti accattivanti per le élite locali, ma contengono le premesse per un progressivo asservimento economico a Pechino che, presto o tardi, potrebbe concretizzarsi in tensioni non facilmente arginabili. Nulla offrono i cinesi che non abbia un prezzo, anche se a scadenza differita. Gli aspetti certamente finora positivi della presenza cinese vanno, pertanto, proiettati nel futuro allorché potrebbero caricarsi di problematicità.
La Russia persegue, invece, una politica di presenza soprattutto militare (attraverso, in particolare, il gruppo Wagner) che sino a questo momento e per il futuro prossimo sembra incontrare il favore di alcuni governi alle prese con gravi sfide di stabilità interna.
Infine, la Turchia che rispolvera, con assistenza militare, capitali di investimento, promozione culturale in campo civico-religioso, i fasti del passato in taluni paesi e che agisce con obiettivi di lungo periodo.
Di fronte alla forza e intraprendenza, con modalità diverse, delle suddette tre potenze, i paesi europei sembrano sulla difensiva e danno l’impressione di acconciarsi ad un arretramento, di cui non abbiamo visto ancora gli aspetti più di lungo termine.
In conclusione, la situazione africana appare in continuo movimento, con l’Occidente che fatica a difendere le posizioni del passato e che sembra adattarsi sempre più all’idea di una retrocessione, se non economica quantomeno strategica e politica, di fronte al consolidarsi di assetti concorrenti e non amichevoli.
Stefano Ronca: complimentandomi con entrambi i relatori per le loro eccellenti ed informative presentazioni vorrei rivolgere la prima domanda a Giuseppe Mistretta. Ricordo che nel nostro incontro dello scorso anno sull'Africa un tema di grande attualità era quello della disputa fra Etiopia ed Egitto riguardante la grande diga (GERD) che Addis Abeba ha costruito per dotarsi di un’immensa riserva d'acqua. Il progetto presentava serie implicazioni sia sul piano ambientale che geopolitico. Come sappiamo l’Egitto dipende dal Nilo al 90 per cento per il proprio approvvigionamento idrico ed il controllo etiopico sullaprincipale fonte d’acqua del Cairo rappresenta un grande rischio di conflitto. Potresti aggiornarci su quale sia la situazione oggi?
All’Ammiraglio Berutti Bergotto vorrei fare una domanda attinente ai valori dei quali è portatrice la Marina, al significato che essi rivestono per la società civile e all’importanza che essi vengano salvaguardati e diffusi.
In questi giorni nell’arsenale di Taranto, si sta girando un colossal da 15 milioni di Euro sull’avventura del sommergibile Cappellini che era comandato, nel settembre del 1940 dal Capitano di corvetta Salvatore Todaro. L’episodio racconta di quando, dopo essere riemerso ed aver affondato col cannone di bordo un mercantile armato battente bandiera belga Todaro, con rischio personale della sua vita e di quella dei suoi uomini, salvò tutto l’equipaggio del mercantile trainandolo su una zattera ed imbarcandolo quando le condizioni di mare non lo permettevano più, a bordo del sommergibile. Todaro ripeté la stessa operazione due anni più tardi con un altro mercantile armato, questa volta britannico.
In un libro di Sandro Veronesi, Premio Strega e co-autore con il regista Edoardo de Angelis, della sceneggiatura del “Comandante”, che sarà pubblicato in gennaio parallelamente all'uscita del film, verrà trattato il tema del soccorso in mare oggi così attuale in quanto legato a numerosi casi di naufragio di migranti e rifugiati spesso oggetto di traffico di esseri umani. Un aspetto interessante, che caratterizza la guerra navale è che, a differenza del combattimento terrestre, è una guerra rivolta ai mezzi e non agli uomini. Ritengo che questo sia uno degli aspetti fondanti fra quelli che caratterizzano la psicologia dell'ufficiale di Marina. Il dovere del salvataggio in mare è infatti intrinseco all’etica ed alla professionalità di ogni comandante e di ogni marinaio e si situa al di là di ogni logica amico/nemico.
Veronesi in una sua recentissima intervista nel Corriere della Sera sottolinea come in Italia vi sia una distanza troppo marcata fra vita militare e vita civile (a differenza di quei Paesi, aggiungo io, vincitori dell’ultima guerra, o presunti tali). Questa distanza è forse stata la causa di un affievolimento, nel nostro Paese, di valori e tradizioni che poco o nulla hanno a che fare con aspetti strettamente militari ed attengono alla sfera etica di ogni società civile. Fra esse la lealtà, la generosità, la solidarietà e l’affidabilità che sono valori universali. Le forze armate infatti, passano gran parte della loro esistenza in lunghi periodi di pace e, specialmente quelle dei paesi democratici, hanno la loro ragion d’essere proprio nel prevenire la guerra. Le qualità che ho menzionato, delle quali la Marina italiana è eminente portatrice, sono soprattutto indispensabili al corretto, legittimo ed efficace funzionamento di tali forze volto a garantire la sicurezza dello Stato e del suo popolo. Lo dimostra il fatto che anche quando si tratta di affrontare con efficacia e sacrificio grandi emergenze civili (Covid 19, terremoti, alluvioni etc...) si ricorre sempre a loro.
Ora vorrei chiedere all’Ammiraglio se la Marina continua ad essere consapevole di questa necessità di osmosi dei propri valori verso la società civile (credo proprio di sì a giudicare dall’esempio del film che essa sta sponsorizzando sul sommergibile Cappellini) ed attraverso quali altre iniziative, nel campo della comunicazione e “dell’outreach” verso la società civile, oltre a quest'ultimo encomiabile progetto. Grazie.
Giuseppe Berutti Bergotto: farò alcune considerazioni che, credo, potranno rispondere ai quesiti che mi sono stati posti.
Nel Mediterraneo, la percentuale di mare non rivendicato da alcuno Stato è meno del venti per cento. E’ pertanto evidente che nel resto del territorio marittimo vi sono varie potestà statali che intendono gestire acque e fondali a modo proprio. Vi sono occasioni in cui le zone si incrociano e si sovrappongono così come sta avvenendo tra noi e l’Algeria Quest’ultima sta infatti imponendo come propria ZEE un’area che va dalle sue coste alle coste della Sardegna. Nel giugno 2021 il Parlamento italiano ha approvato una legge per l’istituzione di una zona economica esclusiva oltre il limite esterno del mare territoriale. La Legge prevede inoltre la conclusione di accordi specifici con gli stati il cui territorio è adiacente o fronteggia l’Italia seppur nella sua difficile applicazione, anche in ragione dei noti problemi creatisi con la Tunisia, Malta e l’Algeria.
Quando si va per mare, la Marina è molto attenta a evitare il crearsi di circostanze che possano innescare situazioni escalatorie o confronti diretti. Il Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione internazionale è l’interlocutore che si sta occupando di gestire proprio questi rapporti nell’ambito della delicata concertazione relativa alle delimitazioni.
La Marina italiana conta quarantadue navi di altura, cinquantasei se si considerano le nuove costruzioni. Di fatto, l’impiego di una nave continuativamente in mare richiede un principio rotazionale su tre unità, di cui una in operazioni, una in manutenzione e una in addestramento.
All’interno del Mediterraneo possiamo assicurare una presenza efficace per la tutela dei nostri interessi nazionali, marittimi e per il monitoraggio delle dinamiche che nel mare e dal mare potrebbero avere un impatto per il nostro paese.
La Germania ha un regolare impegno nel Mediterraneo, dove garantisce attualmente il comando tattico della maritime task force dell’operazione UNIFIL. Altri Paesi potenzialmente competitori, ad esempio la Cina, hanno avanzato la propria candidatura per il prossimo comando della missione, puntando così ad estendere la loro proiezione nel Mediterraneo. In tal senso la Marina ha da tempo offerto la possibilità di contribuire con proprie Unità navali alla componente marittima dell’operazione e di assumerne il Comando tattico in sostituzione della Germania. Ciò è rilevante in un’ottica di presenza navale nazionale ed europea in Mediterraneo orientale e potrebbe essere conseguito favorendo, nella prossima generazione di forze ONU, prevedibilmente a partire da aprile 2023, l’accoglimento della partecipazione nazionale con funzioni di comando tattico.
Dal punto di vista tecnico–operativo la Marina può assolvere un ampio spettro di missioni che gestisce secondo uno schema di manovra dinamico. Infatti, nel Mediterraneo centrale, nel tempo, direi negli ultimi dieci anni, abbiamo assistito a una evoluzione della postura operativa della Marina Militare sempre in linea con le direttive politico-strategiche: ambito nazionale a partire dall’Operazione MARE NOSTRUM, per poi evolvere in MARE SICURO prima e MEDITERRANEO SICURO adesso, ambito Unione Europea a partire da EUNAVFORMED SOFIA, fino all’attuale Operazione IRINI. L’evoluzione dello scenario e la dinamica delle modalità operative poste in essere dagli attori presenti sulla scena hanno sempre guidato le scelte nazionali e quindi la missione assegnata alla Forza Armata.
Per quanto riguarda la specifica domanda sullo schema valoriale al centro della formazione del personale militare, vi sono numerosi progetti che coinvolgono le scuole di ogni ordine e grado e svariati progetti su scala nazionale volti a partecipare e illustrare il patrimonio valoriale che la Forza Armata incarna.
Giuseppe Mistretta: il nostro principale obiettivo è favorire uno sviluppo equilibrato e stabile nel Continente.
La Cina va responsabilizzata anche per le questioni politiche, ed è ciò che l’Europa sta cercando di fare. Bisogna riuscire a coinvolgerla maggiormente nei teatri di crisi e nelle forze multinazionali, e non soltanto dal punto di vista economico.
Riguardo all’affievolimento dello sforzo europeo nel Sahel (e in parte nel Corno d’Africa), fatto rilevare da alcuni di voi, ciò è soprattutto dovuto al fatto che l’Ue e l’Italia avevano considerato il G5 Sahel come partner principale delle loro iniziative nella regione, ed ora purtroppo il G5 Sahel è spaccato al suo interno e di fatto non operante.
Tre degli Stati saheliani hanno avuto dei colpi di Stato, con un posizionamento politico antioccidentale, in particolare anti-francese e pro-russo, e ciò ovviamente non aiuta. Né ha aiutato il conflitto in Etiopia, in cui peraltro l’Eritrea ha invaso il Tigray.
In sintesi, oggi ci troviamo di fronte ad un nuovo Scramble for Africa, e ciascuno degli attori, Italia inclusa, gioca secondo le regole che gli sono proprie. E non è solo una questione economica.
Per quanto concerne la Grande Diga GERD sul Nilo, oggetto di un’altra domanda, la costruzione dell’opera è quasi completata, ma le turbine attive sono ancora soltanto due nella centrale idroelettrica, mentre si sta andando avanti con il riempimento del bacino.
La battaglia diplomatica dell’Egitto appare comunque di retroguardia. Gli Stati rivieraschi del Nilo sono 11 ed ognuno vuole costruire la propria diga. Dunque è difficile vantare dei diritti che risalgono a vecchi trattati coloniali in cui 9 degli 11 Paesi non hanno preso parte. Sta di fatto che l’Egitto si avvia a realizzare progetti molto ambiziosi e costosi di desalinizzazione del mare, che segnano quasi una presa d’atto della realtà sul terreno.
Ciò che l’Europa potrebbe fare è proporre un pacchetto di interventi economici e finanziari per i Paesi interessati, che abbia funzione di stimolo e di incoraggiamento a raggiungere un’intesa fra Etiopia, Sudan ed Egitto.
Per concludere, vorrei ricordare che ormai in Africa, ed in ambito African Union, è invalsa la regola che “i problemi africani vanno risolti con soluzioni africane”, e ciò rende più difficile intervenire dal di fuori sulle tematiche africane; talora possiamo accompagnare i processi e le dinamiche in corso, ma non influenzarli in modo esclusivo, o addirittura determinarli.
Russia-Ucraina: gli Stati Uniti nel conflitto
Osservazioni dell’Ambasciatore Paolo Casardi
di Anna Bincoletto
Il conflitto tra Russia e Ucraina, iniziato il 20 febbraio 2022 con l’aggressione da parte della ex potenza sovietica, è tuttora in corso. Quella che, nella mente di Vladimir Putin, avrebbe dovuto essere una guerra lampo con instaurazione di un regime filorusso a Kiev, si è trasformata in una guerra ad oltranza. La resistenza ucraina e gli aiuti economici da parte delle potenze occidentali fanno fallire il piano iniziale del Cremlino, ma non sono sufficienti a far cessare il fuoco.
Risponde ad alcune domande sulla Guerra in corso l’Ambasciatore Paolo Casardi già Direttore degli Affari Politici al Segretariato dell’UEO, Primo Consigliere alla Missione italiana all’ONU e membro del team italiano in Consiglio di Sicurezza. Successivamente Capo di gabinetto del Ministro per gli Italiani nel mondo e Ambasciatore in Cile. Conclude la carriera a Roma dapprima come Direttore dell’Unità per le autorizzazioni all’importazione e esportazione degli armamenti e infine come Ispettore Generale del Ministero e degli uffici all’estero. Attualmente è Co-presidente del Circolo di Studi Diplomatici e Consigliere Scientifico (scienze umanistiche) della Marina Militare.
Secondo lei si può parlare della guerra tra Russia e Ucraina come un conflitto globale? Gli interventi e gli aiuti economici di diversi paesi lo rendono tale o è ancora da reputare un conflitto circoscritto?
Definire globale il conflitto tra Russia e Ucraina sarebbe una semplificazione nella quale molti cadono, però non si può ritenere una definizione esatta. In realtà, esiste un conflitto europeo tra l’aggressore e l’aggredito, cioè tra Russia e Ucraina, ed esiste inoltre un confronto esplicito, ovvero attivo, tra Occidente e Russia che si manifesta tramite le sanzioni imposte all’aggressore, e l’invio di armi e gli aiuti economici all’Ucraina. Qualcuno parla di conflitto per procura: un conflitto tra Occidente e Russia, ma per procura perché viene combattuto solo dall’Ucraina. In realtà per il Diritto Internazionale il conflitto vero e proprio è quello che si manifesta con la guerra tra le parti e questo è solo tra Russia e Ucraina. Ci sono invece conseguenze economiche globali dovute all’interruzione dei flussi di materie prime nel mondo a seguito del conflitto e il conseguente aumento dei prezzi di molte merci, non solo quelle legate alla guerra. Quando si mettono in moto determinati meccanismi, si scatena l’inflazione che può avere anche effetti globali, come in questo caso. Concludendo, si può parlare di un conflitto tra due stati europei, le cui conseguenze politiche ed economiche si estendono largamente, sia per i contraccolpi del regime sanzionatorio, sia per le varie altre ripercussioni economiche a livello mondiale, come prima accennato.
Gli Stati Uniti sono la potenza che ha portato più finanziamenti all'Ucraina fino ad ora. L'interesse americano nei confronti della guerra è paragonabile al timore nei confronti dell'Unione Sovietica durante la Guerra fredda?
Non siamo allo stesso livello di timore da parte degli Stati uniti nei confronti della Russia. La Russia odierna non ha più le capacità di proiezione strategica di un tempo, l’area del mondo sulla quale insiste la potenza russa non è la stessa area sulla quale poteva manifestarsi quella sovietica. La Russia conserva però buona parte delle precedenti capacità nucleari e missilistiche dell’URSS e quindi gli Stati Uniti sono particolarmente preoccupati dal progetto esplicitato dallo stesso Putin di voler portare la Russia allo stesso livello di potenza politico-militare che era propria dell’Unione Sovietica.
Il timore della Russia da parte degli Stati Uniti è, secondo lei, dovuto a una potenziale espansione sul piano territoriale, sulla minaccia alla democrazia o entrambe?
Entrambe, perché l’espansione territoriale può facilitare la crescita della potenza, questo avviene quasi sempre sul piano militare, strategico ed economico. Inoltre, la potenza americana è basata sulla democrazia, i militari americani sanno che combattono per la democrazia. Qualunque minaccia a quest’ultima sia esterna che interna (vedi la fase finale della presidenza Trump) costituisce una grave preoccupazione per Washington.
Cosa ne pensa dell'affermazione fatta dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky “come i coraggiosi soldati americani che hanno tenuto le loro linee e hanno combattuto contro la Germania nazista di Hitler nel 1944, i soldati ucraini stanno facendo lo stesso con le forze di Putin questo Natale”?
Il presidente ucraino ha voluto fare un primo parallelo tra i soldati tedeschi, cioè i nazisti nella Seconda Guerra Mondiale, e i russi di oggi perché sono entrambi aggressori e vogliono togliere illegittimamente e con la forza risorse e indipendenza agli altri. Con un secondo parallelo, ha voluto sottolineare come gli ucraini traggano ispirazione e esempio dal comportamento del soldato americano contro i nazisti e in favore della libertà e della democrazia, per resistere oggi all’aggressione militare russa. Con questi paragoni, il presidente ha voluto da un lato sottolineare la legittima resistenza dell’Ucraina contro l’invasore russo, ma anche la natura libertaria e democratica della nazione ucraina che lotta non solo per la conservazione del proprio territorio, ma anche, come gli americani, per il rispetto di quei valori.
Qatargate: lo scandalo che sta facendo tremare l’Europa
Un’analisi dell’Ambasciatore Maurizio Melani
di Agata Lucchetta
Da mesi si sente parlare di Qatargate, lo scandalo che coinvolge alcuni membri del Parlamento europeo, accusati di corruzione nell’interesse di Paesi quali il Marocco e il Qatar. Come noto, sono in corso le indagini della procura di Bruxells, insieme a quelle di Italia e Grecia, Paesi d’origine dei principali europarlamentari coinvolti, al fine di far luce sulla questione. Nel frattempo sono stati però arrestati Pier Antonio Panzeri, ex segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, ex membro del Pd ed europarlamentare fino al 2019, insieme al suo braccio destro, il trentacinquenne Francesco Giorgi con la moglie Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento europeo ed eurodeputata greca, colta in flagrante mentre occultava le presunte tangenti ricevute; e ancora Niccolò-Figà Talamanca, direttore generale della ONG No peace without justice con l'accusa di riciclaggio, e Luca Visentini, segretario generale della Confederazione Internazionale dei Sindacati, che avrebbe accettato dei cinquantamila euro dall’ONG di Panzeri, Fight Impunity. Altri europarlamentari, non arrestati, sono finiti nel mirino delle indagini: l’eurodeputato del Pd Francesco Cozzolino e due deputati belgi Marc Tarabella e Marie Arena.
Il motivo per il Qatar sembrerebbe quello di far cancellare negli archivi del Parlamento europeo e della confederazione europea e mondiale dei sindacati i dossier sugli operai morti durante la costruzione delle strutture ospitanti i Mondiali di Calcio 2022 in Qatar. Secondo gli inquirenti, invece, per il Marocco, attraverso Abderrahim Atmoun, ambasciatore del Marocco a Varsavia, che operava per conto di Mohamed Bellahrach, ufficiale della Dged (Delegazione per le relazioni con il Maghreb ndr), era di influenzare le scelte del Parlamento europeo e di alterare il rapporto annuale sulla politica estera.
Questo il caso. Sulle possibili conseguenze nelle relazioni internazionali europee e mondiali, abbiamo interrogato l’Ambasciatore Maurizio Melani, già Direttore Generale per la Promozione del Sistema Paese al Ministero degli Esteri, Ambasciatore in Iraq, Rappresentante italiano nel Comitato Politico e di Sicurezza dell'UE, Direttore Generale per l’Africa, Ambasciatore in Etiopia, Capo dell’Ufficio per i rapporti con il Parlamento nel Gabinetto del Ministro degli Esteri. Professore straordinario di relazioni internazionali alla Link Campus University, docente in altre istituzioni di alta formazione e autore di numerose pubblicazioni in questo campo, è Co-Presidente del Circolo di Studi Diplomatici.
Ambasciatore, buongiorno. Come saprà, ormai da tempo la procura belga sta indagando su alcuni europarlamentari accusati di essere stato corrotti da Paesi quali Qatar e Marocco. Come può influenzare l’opinione pubblica europea ed internazionale questo scandalo, e quanto potrebbe risultare danneggiata l’immagine dell’UE in termini di credibilità e affidabilità?
Buongiorno. Le notizie emerse finora sulle gravi attività corruttive che hanno coinvolto membri, ex-membri e collaboratori del Parlamento Europeo da parte di governi stranieri, in particolare del Qatar e del Marocco secondo quanto si legge sulla stampa, ma potrebbero esservene degli altri, è subito diventato, come era da attendersi, motivo di discredito del Parlamento stesso e, più in generale, di tutte le Istituzioni europee.
Lungi dal giustificare le gravi omissioni di vigilanza di partiti, delle organizzazioni non governative e delle strutture istituzionali, quanto sta accadendo, dal momento in cui le notizie sono state diffuse, mostra la volontà di questi soggetti di reagire in modo deciso al malaffare. Venuto a galla grazie all'attività investigativa della magistratura belga con l'ausilio di autorità di intelligence di vari Paesi. Troppo tardi e con una certa ipocrisia, si potrà dire.
Tuttavia, le Istituzioni europee sono un bene prezioso, che va difeso da strumentalizzazioni e generalizzazioni motivate politicamente o mosse da considerazioni ispirate dalla ricerca di un'audience tanto più vasta quanto maggiore è l'amplificazione mediatica delle responsabilità reali o presunte. La stampa e i mezzi di informazione hanno il sacrosanto dovere di scavare e far conoscere tutti i risvolti di uno scandalo come questo ai cittadini. Ma non si possono sottacere modalità di gestione delle notizie il cui effetto, sia esso voluto o meno, finisce con il colpire l'insieme del processo di integrazione europea. E sappiamo quanto vi siano forze all'interno e all’esterno dell’Unione che puntano al suo discredito e alla sua disarticolazione.
Lo stesso vale per le strumentalizzazioni che da parte di soggetti, interessati a vario titolo, possono essere fatte a scapito di Paesi o forze politiche da cui provengono i corrotti le cui responsabilità vanno rapidamente accertate e severamente sanzionate.
Che risvolti, in futuro, il Qatargate potrebbe avere nelle relazioni internazionali?
Un effetto del cosiddetto Qatargate potrà essere una salutare maggiore attenzione a come, in quali settori e con quali modalità vengano effettuati, da certi Paesi, finanziamenti e investimenti di cui peraltro abbiamo bisogno. Come abbiamo bisogno, per quanto riguarda il Qatar, di gas naturale in sostituzione di quello russo e verso il quale vanno anche rilevanti esportazioni soprattutto nel settore militare necessarie, come quelle verso altri Paesi, a mantenere la sostenibilità di quel reparto industriale cruciale per la nostra sicurezza fin quando non si avvierà un nuovo processo di controllo degli armamenti e di disarmo bilanciato e reciprocamente controllato tra i diversi maggiori attori della Comunità internazionale. Come prescrive la nostra legislazione in materia, non sempre pienamente osservata, l'aspetto delle condizioni dei diritti umani nel Paese destinatario dovrebbe essere attentamente considerato. E a questo scopo, per evitare penalizzazioni di chi è virtuoso in questo campo, occorrerebbe anche un vincolante codice di condotta in ambito europeo, del G7 e auspicabilmente, ma non ne sfuggono le grandi difficoltà per le diverse concezioni che si hanno fuori dall'Occidente dei diritti umani, in ambito G20 e ONU.
La ringrazio. Infine, passiamo ad uno sguardo particolare, quello della politica interna dei Paesi degli eurodeputati coinvolti: come ne potrebbe risultare influenzata, anche alla luce di esperienze precedenti nella storia europea'?
Gli eventi di cui sono stati protagonisti alcuni parlamentari o ex-parlamentari europei sono subito diventati oggetto di dibattito e strumentalizzazione politica all'interno dei Paesi dai quali provengono. È inevitabile che sia così. In alcuni casi questi eventi si aggiungono ad altri fattori di crisi. Si tratterà di vedere come le compagini politiche che subiranno attacchi e perdite di credibilità a causa dei comportamenti di suoi appartenenti, con l'accusa di essere diventate strutturalmente permeabili alla corruzione o comunque incapaci di impedirla e contrastarla, saranno in grado di gestirli. In Italia, all'inizio degli anni ’90 del secolo scorso, l'incalzare di eventi che fecero venire alla luce fenomeni sistemici di corruzione portarono alla scomparsa di partiti che avevano governato il Paese accompagnandone la trasformazione economica e sociale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Al momento non si può dire di essere in presenza di qualcosa di analogo, ma molto dipenderà da quanto gli eventi considerati, risulteranno circoscritti e da quelle che saranno le reazioni e la loro comunicazione all'opinione pubblica.
La Settimana della Cucina Italiana nel Mondo e la promozione della Dieta Mediterranea negli Usa, in Giappone, Germania e Kazakistan
di Domenico Letizia
Dal 14 al 20 novembre 2022 si è svolto, in tutto il mondo, la VII edizione della Settimana della Cucina Italiana nel Mondo. Il tema portante della manifestazione di quest’anno è stato incentrato su “Convivialità, sostenibilità e innovazione: gli ingredienti della cucina italiana per la salute delle persone e la tutela del Pianeta”. Un’occasione importantissima per poter rilanciare il ruolo della Dieta Mediterranea, la valorizzazione internazionale delle tradizioni e delle pratiche agro-alimentari quali patrimoni immateriali dell’umanità. Il Comune di Pollica ha organizzato, insieme al Future Food Institute, presso il Palazzo di Vetro del Nazioni Unite, a New York, una conferenza sulla Dieta Mediterranea e altre missioni in Kazakhstan, a Berlino e in Giappone. A New York, guidata dal sindaco di Pollica, Stefano Pisani, e dalla presidente del Future Food Institute, Sara Roversi, è stato l’ambasciatore italiano all’Onu, Maurizio Massari, rappresentante permanente alle Nazioni Unite, ad evidenziare come la “Dieta Mediterranea è un esempio tangibile di una forza trainante per lo sviluppo sostenibile ed un modello di eccellenza per garantire sistemi alimentari sostenibili toccando le varie dimensioni sociale, economica e ambientale”. A valle dell’evento, il sindaco di Pollica ha dichiarato che “l’appuntamento alle Nazioni Unite rappresenta un punto di svolta straordinario per il Cilento e per l’Italia tutta. Finalmente abbiamo potuto rappresentare alla Comunità Internazionale, il valore assoluto della Dieta Mediterranea che è ormai da considerarsi un valido modello di sviluppo sostenibile. Abbiamo potuto condividere con gli Ambasciatori presso le Nazioni Unite di Italia e Marocco i prossimi passi da compiere per l’adozione di azioni concrete a favore dello Stile di Vita Mediterraneo che sono certo garantiranno una ulteriore capitalizzazione del valore del nostro Patrimonio Immateriale”. Un evento internazionale, co-sponsorizzato anche dalla Rappresentanza permanente del Marocco che con il Sindaco Mohamed Sefiani della Comunità Emblematica di Chefchaouen, che da anni si adopera per la diffusione della Dieta Mediterranea, e che ha visto un focus sul valore del comparto agrifood di alta qualità portato da Luigi Scordamaglia, CEO di Filiera Italia. Inoltre, ulteriore approfondimento è stato dedicato al valore inestimabile del Patrimonio Dieta Mediterranea e delle grandi opportunità che essa rappresenta, con una relazione di Pier Luigi Petrillo, professore ordinario di Diritto pubblico comparato e presidente dell’Organo degli Esperti Mondiali della Convenzione UNESCO per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale. Successivamente si è svolto un momento di riflessione sull’importanza della formazione e delle nuove generazioni con Stephen Ritz e con gli Chef della Culinary institute of America, che ogni anno formano oltre 3000 chef in tutto il mondo. Infine è stata data voce alle città sostenibili e inclusive con Benedetto Zacchiroli, presidente di ICCAR/UNESCO con grande attenzione alla ricchezza rappresentata dal Mediterraneo e ai sindaci nelle Comunità Emblematiche ed in particolar modo a Stefano Pisani che è intervenuto come Sindaco di Pollica, in rappresentanza della sua comunità, ma anche come coordinatore, nel 2022, della Rete delle 7 Comunità Emblematiche della Dieta Mediterranea dell’UNESCO con un discorso che ha espresso con chiarezza i valori essenziali del “vivere mediterraneo”. La giornata è poi proseguita con una visita alla Community School 55, dove il professore Stephen Ritz, uno dei più amati ed efficaci divulgatori in tema di educazione alimentare, ha lanciato il progetto Green Bronx Machine, sviluppando un programma didattico che vede nell’insegnare a fare l’orto il pilastro di un modello educativo che mette al centro la “cura” per la vita, la salute e l’ambiente. Green Bronx Machine è oggi partner del Future Food Institute, del Centro Studi Dieta Mediterranea “Angelo Vassallo” e di Campustore con un progetto proposto nell’ambito dei PON Edu Green del piano Rigenerazione della Scuola Italiana che porterà gli Orti della Dieta Mediterranea in oltre 600 classi in tutto il Paese. La missione italiana negli Stati Uniti è terminata presso “La Devozione”, il ristorante di Giuseppe Di Martino, amministratore delegato e presidente del Pastificio Di Martino, nello storico Chelsea Market di New York con una “pasta experience” davvero unica. Una cena davvero speciale che ha visto coinvolti i delegati della missione e rappresentanze istituzionali tra cui il Vice Rappresentante Permanente Gianluca Greco, la delegata della Rappresentanza Permanente del Marocco, Meriem El Hilali e anche Atul Khare, il sottosegretario generale del Department of Operational Support delle Nazioni Unite.
Mentre la missione americana consentiva di diffondere l’eccellenza italiana negli Usa, in Germania, la Settimana della Cucina Italiana nel mondo, ha visto la cooperazione tra l’Ambasciata d’Italia a Berlino e il Future Food Institute, in sinergia con Dock3, Eni Joule e l’Associazione Italiana AgriFood-Tech, che hanno ospitato una pitch session per presentare le migliori dieci startup italiane operanti nel settore AgriTech e interessate al mercato tedesco. L’occasione ha consentito a dieci startup italiane di avviare relazioni e attività di networking con un gruppo di investitori tedeschi interessati alla promozione di iniziative innovative e sostenibili in ambito agroalimentare, rafforzando la cooperazione economica e commerciale tra l’Italia e la Germania. La presenza delle imprese italiane a Berlino ha consentito alle realtà agricole e innovative presenti di poter svolgere incontri e sessioni di mentoring con gli acceleratori di startup berlinesi, centrando l’attenzione sui nuovi processi produttivi agricoli legati all’innovazione e alla sostenibilità.
I lavori della Settimana della Cucina Italiana nel mondo hanno consentito di poter illustrare la sostenibilità della Dieta Mediterranea anche agli studenti universitari del Kazakistan. Numerosi studenti universitari del Kazakistan e autorevoli esponenti politici e diplomatici del Paese centro asiatico hanno assistito e compreso l’importanza della Dieta Mediterranea e i valori di convivialità e sostenibilità che caratterizzano tale regime alimentare. La Settimana della Cucina Italiana nel Mondo in Kazakistan è stata l’occasione per una speciale e autorevole guest lecture della Presidente del Future Food Institute, Sara Roversi, che si è svolta presso l’Università Agrotecnica del Kazakistan S. Seifullin. Alla conferenza, intitolata “Sostenibilità e rigenerazione per migliorare i sistemi alimentari”, hanno partecipato circa 150 persone, tra cui due borsisti che lo scorso settembre hanno seguito il boot camp sull’agricoltura rigenerativa organizzato dal Future Food Institute presso il Comune Pollica. Ulteriori iniziative con l’Ambasciatore italiano nel Paese, Marco Alberti, si sono svolte presso l’Università Nazarbayev di Astana con un talk dedicato ai temi della sostenibilità, della nutrizione e dei valori della Dieta Mediterranea. Secondo il Memorandum of Cooperation intavolato con l’Università del Kazakistan, gli studenti avranno ulteriori possibilità di completare una Summer School di due settimane, seguendo il lavoro del Future Food Institute in Italia, nella città di Pollica. Grazie al boot camp, gli studenti del Kazakistan possono assimilare e divulgare all’estero le potenzialità della Dieta Mediterranea, accrescendo le proprie competenze come decisori sociali e giovani attivisti con profili multidisciplinari, attraverso competenze specifiche per co-progettare strategie e innovazioni tangibili che accelerano l’azione sul clima, facilitando la transizione della società verso il quadro dello sviluppo sostenibile. Costruito su una piattaforma di apprendimento esperienziale che comprende masterclass, missioni locali, sessioni di tutoraggio, “cene climatiche” virtuali eHackathon, il programma innovativo formativo celebra i protagonisti dell’agricoltura e dell’alimentazione locale, fornendo ai partecipanti le conoscenze e le competenze per guidare azioni del sistema alimentare sostenibile nelle loro comunità.
La settima edizione della Settimana della Cucina italiana nel mondo è stata celebrata anche in Giappone, mettendo al centro la tradizione culinaria italiana, la convivialità, i prodotti italiani di qualità e la ricchezza delle identità culinarie dei due paesi. Grazie ad una programmazione avviata dal professore Enrico Traversa, responsabile scientifico dell’Ambasciata d’Italia a Tokyo e da Alessandro Fusco, Director del Future Food Japan, si è svolto un evento formativo e divulgativo per mettere a confronto la storia culturale e antropologica della Dieta Mediterranea con lo stile alimentare giapponese, evidenziando i modelli comuni per combattere lo spreco alimentare e tutelare il territorio. L’importanza di un’alimentazione sostenibile e consapevole e l’utilizzo della fermentazione per combattere il food waste e migliorare le nostre diete è ciò che è stato descritto al pubblico convenuto, che ha visto la presenza di numerosi giornalisti, con relazioni e approfondimenti curati da Paco Álvarez Ron, R&D Lead di Food Alchemist Lab del Future Food Institute, da Hiraku Ogura, noto Fermentation Designer giapponese e da Masayoshi Ishida, professore al Ritsumeikan University College of Gastronomy Management. Salvatore Cuomo, Founder e Chairman della Salvatore Cuomo International e parte del network “I LOVE ITALIAN FOOD” ha condiviso il suo impegno, e il progetto “LAB3680”, nel sostenere gli agricoltori locali, contribuire allo sviluppo della comunità, creando prodotti alimentari sostenibili e promuovendo il cibo italiano nella regione di Hita. L’evento, organizzato da Future Food Institute coordinato dall'Ambasciata d'Italia a Tokyo, ha presentato e diffuso i nuovi collegamenti e le chiavi di lettura che mettono in sinergia l’Italia con il Giappone. Sinergie atte ad intensificare la ricerca culturale sull’identità del cibo, i comportamenti alimentari sani da poter diffondere in entrambe le realtà geografiche, gli atteggiamenti, le scelte sociali legate all’alimentazione e la ricerca continua di ingredienti di qualità. D’altronde, l’Italia e il Giappone condividono entrambe delle storie alimentari complesse, ma caratterizzate anche da nuove e affascinanti opportunità di connessioni e sviluppi innovativi.
QUANTO E’ DELICATO IL GIARDINO OCCIDENTALE? Luca Mozzi
Secondo l’ONU, lo scorso 15 novembre l’umanità ha conseguito un traguardo epocale: la popolazione mondiale ha raggiunto la cifra di otto miliardi di persone. Notizia di grande impatto, ma difficilmente interpretabile; appare arduo affermare se essa sia una catastrofe di malthusiana memoria o un asset per il nostro pianeta. Nonostante la rilevanza dell’informazione, il dato demografico impatta assai poco sulla nostra vita quotidiana; forse alcuni potranno trovare più affascinante l’estetica simmetria del numero otto, a confronto della scomposta sagoma del numero sette, ma il discorso si arresta su queste frivolezze: il cervello umano resta incapace di contemplare un numero così grande di individui.
Non solo questa notizia ha poco impatto sulla comunità, ma, basandoci sulla nostra visione della realtà, inevitabilmente ristretta dal nostro ancoraggio territoriale (quindi mentale), un aumento della popolazione appare quasi in contraddizione con la nostra percezione quotidiana. Se eravamo stati abituati da oltre due secoli a pensare all’incremento demografico come naturale complemento dell’avanzare della Storia, negli ultimi decenni, nelle nostre società, si è visto infatti capovolgersi il paradigma: a causa del benessere diffuso, dello stress lavorativo e di altri già ben noti motivi, sono sempre meno i bambini che nascono. Se nei paesi in via di sviluppo il tasso di natalità cresce in maniera vertiginosa, alle nostre latitudini le bare hanno invece cominciato a eguagliare in numero le culle. O addirittura a superarle. Lugubre realtà, che si palesa magistralmente nel caso dell’Italia, paese che, nel solo 2019 (ultimo anno ante-Covid), ha perso più di 200 mila individui, continuando la discesa demografica imboccata dal 2014. Trend non anomalo in Europa e nel mondo Occidentale stesso, che si ritrova, al pari dell’Italia, a far fronte a un duro inverno demografico. Nella sola UE sono ben 8 i paesi che stanno subendo uno spopolamento, mentre gli altri 19 si salvano; in parte anche grazie all’immigrazione, foriera di popolazione prolifera e giovane, che abbassa l’età mediana della nazione, essenziale strumento del dato demografico. Dall’altra parte dell’Atlantico, gli USA, ad esempio, sono tra i principali utilizzatori di questo fenomeno e riescono quindi ad assimilare ogni anno centinaia di migliaia di immigrati da tutto il mondo.
Il tasso di fertilità nel mondo: se il valore 2 indica una situazione di staticità demografica, ogni paese che si trova al di sotto di tale numero è in depopolamento. (fonte: commons.wikimedia.org)
Analizzando così qualitativamente, oltre che quantitativamente, il dato demografico, salta all’occhio come negli otto miliardi di popolazione attuale, solo uno corrisponde al Mondo Occidentale (idealmente composto da Europa Occidentale, Nordamerica, Australia, Nuova Zelanda, Giappone), mentre i restanti 7 miliardi afferiscono a regioni un tempo denominate ‘Terzo Mondo’, come India, Pakistan, Africa Subsahariana, Sud-Est asiatico o Cina. E questa tendenza appare in crescita: le forbici demografiche che separano le società Occidentali dal resto del mondo sono sempre più ampie.
Se anche nei secoli delle conquiste coloniali era una ristretta minoranza di ‘bianchi’ ad imporsi su un numero decisamente maggiore di africani o asiatici, oggi questi paesi appaiono sempre meno propensi a guardare all’Occidente, essendo concentrati invece sulla loro storia, cultura e a riscoprire una mitologia nazionale con la quale identificarsi. L’ideologia democratico-liberale di stampo occidentale non viene sentita propria e in molti casi è percepita come antagonista, quasi come un rimando al colonialismo, che tentava di imporre valori occidentali in zone del mondo poco interessante a riceverli.
Riprova di questo mutamento di equilibri, è stata la reazione del mondo ‘non Occidentale’ all’invasione russa dell’Ucraina. Per quanto quest’ultima sia stata una spregevole azione, condotta a discapito del diritto internazionale e degli stessi diritti umani, sembra che essa abbia lasciato indifferenti diversi stati in via di sviluppo. Molte nazioni asiatiche, sudamericane e in particolare africane non hanno condannato le azioni della Russia durante una votazione ONU il marzo scorso, né tantomeno hanno approvato i vari pacchetti di sanzioni rivolto verso quest’ultima. Il 3 giugno 2022, durante un forum internazionale in Slovacchia, il ministro dell’economia indiano ha affermato: ‘’L’Europa deve abbandonare quella prospettiva mentale in base alla quale i problemi europei sono i problemi del mondo, mentre i problemi del mondo non sono problemi europei’’. Il concetto è chiaro: ‘’european solutions to european problems’’, come scrisse una giornalista kenyota poco dopo l’aggressione russa. Quest’ultima sembra essere sempre di più l’opinione comune dei paesi dell’ex terzo mondo, che, non bisogna dimenticare, sono anche tra le vittime principali di questa guerra, in quanto largamente dipendenti da prodotti agricoli o fertilizzanti russi e ucraini.
In Africa, ad esempio, paradossalmente sono proprio nazioni a palese trazione imperialista come Cina, Turchia o Russia, in aperto contrasto con gli ideali occidentali, quelle che si inseriscono con minore difficoltà nel tessuto sociale ed economico dell’area. Questi paesi offrono una narrazione più saporita, in quanto possono giocare la carta “dell’aver condiviso le sofferenze e le angherie occidentali” con quegli stessi paesi a cui vogliono somministrare una medicina non dissimile da quella neocolonialista, spesso condita anche da una buona dose di nazionalismo e razzismo. Di fronte alla penetrazione economica e strategica di paesi così assertivi e spregiudicati, l’Occidente arretra. Si pensi, ad esempio, al ritiro del contingente francese in Mali lo scorso agosto, a seguito del consolidamento dell’intervento russo nella zona.
‘’Africa, Addio’’, recitava il titolo di un vecchio documentario italiano degli anni ’60 e, allo stesso modo, al giorno d’oggi le nazioni europee, dopo averne risucchiato le risorse per decenni, hanno dimenticato il continente più giovane al mondo, lasciandolo nelle mani di paesi che si raccontano con valori diversi, nuovi.
Se da un lato una buona parte di mondo ha smesso di credere agli ideali liberali e democratici, è da notare come, anche a livello interno, le masse europee e nordamericane sono sempre più insicure e pessimiste. L’Occidente sembra infatti aver perso quello slancio ottimista che aveva caratterizzato le nostre società, dal secolo dei lumi in avanti. L’emergere dei populismi, delle destre sovraniste o l’assalto al Congresso americano del gennaio 2021, sono inconfutabili segnali del malessere diffuso e delle scarse aspettative per il futuro che serpeggia tra i paesi occidentali.
Malgrado ciò, e spesso ce ne si dimentica, l’Occidente è ancora egemone, economicamente, strategicamente e, soprattutto, culturalmente. Per quanto si tenda a mitizzare nazioni roboanti e molto assertive come Cina, Russia, India o Turchia, spesso si sorvola infatti sulle loro evidenti deficienze strutturali, che non gli permettono ancora di creare una propria rete strategica indipendente da quella americana.
La sfida, tuttavia, sussiste, e non ci si può dimenticare il dato demografico iniziale: in futuro saremo in numero sempre minore, e, se vogliamo evitare che lo scontro tra diverse visioni del mondo si trasformi in un vero e proprio Clash of Civilizations, si dovrà sostituire le narrazioni nazionalistiche, massimaliste e xenofobe con un dialogo costante e costruttivo, basato anche sull’accettazione di una possibilità di mutamento nei rapporti tra stati.
Presentazione del libro Lettere sul Mondo a cura del Circolo di Studi Diplomatici di Roma, domenica 11 dicembre alle 17, alla fiera Più libri più liberi, Roma Eur, padiglione Associazione Editori Veneti/Regione del Veneto,Presenti i co Presidenti del circolo, Ambasciatori Paolo Casardi e Maurizio Melani con l’editore Carlo Mazzanti, si è parlato dei più recenti avvenimenti della politica internazionale, della prossima edizione del Festival Internazionale della Geopolitica Europea, che si terrà a maggio 2023 a Venezia, promosso dalla rivista Atlantis e con ruolo da protagonista del circolo e dell’imminente inizio (20 dicembre 2022) dei corsi di formazione geopolitica per le scuole superiori venete, primo passo per un progetto informativo e formativo nazionale.
Lettere sul mondo.
La realtà internazionale, i rapporti tra gli Stati, l’azione delle istituzioni multilaterali, le attività delle ONG e delle grandi Multinazionali, diventano sempre più complessi e di difficile decifrazione. In un mondo globalizzato, in continua mutazione tra decadenze di ideologie e risorgenze di estremismi politici e religiosi, le nuove minacce transazionali si fanno gioco dei confini statali. Per orientarsi tra i tortuosi sentieri della politica internazionale, si rivela davvero preziosa l’attività del Circolo di Studi Diplomatici, istituito nel 1968, dove gli Ambasciatori d’Italia non più in servizio si riuniscono regolarmente per scambiarsi impressioni e valutazioni sulle problematiche internazionali di maggiore attualità. Impressioni e valutazioni che riversano poi nelle “Lettere Diplomatiche”. Il presente volume della Collana OSSERVATORIO GLOBALE di Mazzanti Libri, raccoglie le Lettere degli ultimi mesi del 2021 e di gran par te dell’anno 2022. Una visione quindi della realtà internazionale offerta da chi ha acquisito un’insostituibile esperienza nelle relazioni internazionali, avendo operato sulla scena internazionale in prima persona e avendo accumulato una formidabile expertise in tanti anni di carriera diplomatica.