Il nuovo stallo istituzionale in Venezuela/The new institutional stalemate in Venezuela

03.12.2024

Giorgio MALFATTI DI MONTE TRETTO - Nel corso degli ultimi colloqui tra il governo venezuelano e l'opposizione, svoltisi a Barbados il 17 ottobre 2023 con la mediazione della Norvegia, le due fazioni avevano raggiunto un accordo sull'organizzazione delle elezioni presidenziali nella seconda metà del 2024, con la presenza di osservatori internazionali.

Era un momento in parte favorevole a Maduro. Dopo anni di rapporti azzerati, rappresentanti dell'Amministrazione Biden erano volati a Caracas per incontrarlo, con l'obiettivo di ridiscutere le forniture di petrolio dal Venezuela, alla luce delle sanzioni su gas e petrolio russo e per tentare di separare il paese latino-americano da Mosca. Il leader chavista, dopo i suoi dodici anni al potere, sembrava inoltre aver in qualche modo superato la tempesta peggiore. L'economia, sebbene ancora in difficoltà, si era per lo meno stabilizzata. L'opposizione non sembrava unita come prima, nelle tornate di elezioni amministrative aveva partecipato in maniera frammentata, Maduro era così riuscito ad accumulare posizioni chiave del governo regionale e il Venezuela si stava lentamente reintegrando nella comunità internazionale latino-americana, soprattutto grazie all'azione dei presidenti progressisti della regione: Lula aveva accolto il leader chavista a Brasilia con gli onori che si riservano a un alleato. Le avvisaglie dirette al potere di Maduro non erano scomparse, ma avevano perso lo slancio che a un certo punto sembrava destinato a spodestarlo. Allo stesso modo, la principale minaccia indiretta, il collasso economico, pur rimanendo nello sfondo, aveva perso la sua urgenza. Elementi questi che avrebbero suggerito a Maduro di agire con moderazione, ma la sua indole autoritaria ha, come sempre, preso il sopravvento.

Il percorso verso le elezioni non è stato lineare, come d'altronde prevedibile: ogni settimana si sono verificati eventi che hanno sollevato dubbi sulle garanzie democratiche del voto. L'opposizione era riuscita ad appianare i disaccordi interni, designando la candidatura della centrista liberale María Corina Machado, a seguito di elezioni primarie. La Corte Suprema Elettorale (CSE), fedele a Maduro, ha non solo invalidato la legittimità delle primarie ma anche posto il divieto di candidarsi alla Machado, sulla base di una serie di accuse fantasiose (frodi fiscali). L'opposizione ha quindi dovuto trovare un altro concorrente nella persona dell'ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, sul quale la Corte non ha potuto trovare elementi per opporsi. Nel frattempo, Maduro non voleva più la presenza di osservatori internazionali e dell'Unione Europea, malgrado le promesse fatte a Barbados e le raccomandazioni dei presidenti progressisti dell'area (Petro e Lula). Era preoccupato anche dal fatto che diversi sondaggi lo davano nettamente perdente. Tra arresti di oppositori e varie intimidazioni si arrivava al voto, il 28 luglio scorso. Nella notte dello stesso giorno, Maduro ha dichiarato di aver vinto le elezioni presidenziali con il 51,2% dei voti, contro il 44,2% di Edmundo González. L'opposizione ha immediatamente sostenuto che i dati presentati dal leader chavista erano falsi e che il proprio candidato aveva ottenuto un consenso di oltre il 70%, in linea con i sondaggi. Ci sono evidenti perplessità sui dati con cui il Consiglio elettorale venezuelano (il CNE, controllato dal governo) ha assegnato la vittoria al presidente uscente, oltretutto lo scrutinio dei voti non si era ancora concluso quando il CNE ha comunicato il risultato (mancava circa il 20% dei voti). La leader dell'opposizione, la sopramenzionata Machado a cui il regime aveva impedito di partecipare alle elezioni, ha sostenuto che in base alle ricevute del voto elettronico Maduro era stato sonoramente sconfitto e ha chiesto un riesame manuale dei voti. Maduro ha controbattuto dicendo che il conteggio è stato rallentato a causa di un misterioso attacco informatico orchestrato dall'opposizione e il Tribunale Supremo di Giustizia (altro organo in mano al regime) ha confermato i dati elettorali, senza fornire alcun verbale di scrutinio. La Machado ha convocato dimostrazioni popolari per contestare il risultato "ufficiale". Si sono così riproposte le violenze della repressione poliziesca con morti e migliaia di arresti. La comunità internazionale occidentale si è rifiutata di riconoscere la riconferma di Maduro, mentre Russia, Cina, Iran, Cuba e Nicaragua hanno entusiasticamente confermato l'appoggio al loro alleato. La sinistra latino-americana invece si è divisa, non sapendo più come comportarsi con Maduro. I leader di Messico, Brasile e Colombia hanno mantenuto un approccio accomodante, finalizzato alla mediazione, mentre il presidente cileno Gabriel Boric (il più a sinistra di tutti) è stato intransigente non riconoscendo, sin dal primo momento, il risultato. Dopo molte indecisioni Brasile e Colombia hanno chiesto nuove elezioni presidenziali, mentre il Messico ha preferito mantenersi in una posizione ambigua. Ma la proposta di nuove consultazioni è stata respinta sia dall'opposizione, che rivendica la vittoria, sia da Maduro, il quale ovviamente non vuole correre ulteriori rischi. Gli Stati Uniti, per trovare una via di uscita, hanno avviato colloqui segreti per convincere il presidente venezuelano Maduro a lasciare il potere in cambio della grazia. Il leader chavista però al momento non demorde, continua nella solita violenta propaganda nazionalista e ha fatto spiccare un mandato di arresto per Edmundo González, con l'accusa di terrorismo sovversivo. Il governo spagnolo è intervenuto riuscendo ad ottenere un salvacondotto per González, già arrivato a Madrid dove gli è stato concesso l'asilo politico. La situazione, inoltre, si sta complicando ulteriormente. A Caracas, le forze di sicurezza venezuelane hanno circondato l'ambasciata argentina (che dopo la rottura delle relazioni diplomatiche è passata sotto la protezione del Brasile), dove hanno chiesto asilo sei dirigenti politici legati dell'opposizione.

Il leader chavista ha poi annunciato per l'anno prossimo una maxi tornata elettorale, nella quale i venezuelani saranno chiamati a eleggere i membri del Parlamento, governatori regionali, sindaci e consigli comunali. Secondo una nuova legge antiterrorismo non potranno candidarsi i "nemici della rivoluzione", in pratica si va verso un regime a partito unico alla cubana. Caracas ha inoltre ribadito la richiesta di adesione al blocco dei Brics, sapendo che Russia e Cina, i suoi principali alleati, sono pronti a concederla. Maduro ormai in preda a un delirio di onnipotenza vuole anche spostare la data del Natale nella Repubblica bolivariana al primo di ottobre "per favorire regali ed aiuti ai più bisognosi".

Con questa strategia il governo del Venezuela sembra aver scelto la strada indicata da Daniel Ortega, chiudendo definitivamente ad ogni ipotesi di mediazione caldeggiata dai presidenti progressisti del Brasile, Colombia e Messico. Lula da Silva, particolarmente impegnato nella mediazione, ha dovuto sconsolatamente ammettere che la condotta di Maduro è "deludente".

Questo è l'epilogo provvisorio della crisi politica aperta dalle elezioni presidenziali di luglio. La speranza di sconfiggere in maniera democratica Maduro è al momento fallita, egli infatti è stato proclamato vincitore con il 52% dei voti, nonostante l'opposizione abbia mostrato dei dati provenienti dai seggi elettorali secondo cui González avrebbe ottenuto il doppio dei voti rispetto all'avversario. Il regime non ha prodotto alcuna prova della sua presunta vittoria. Maduro ha reagito come al solito, reprimendo le proteste popolari con una trentina di morti e l'arresto di duemila persone, mentre il candidato dell'opposizione ha preferito l'esilio alla certezza del carcere.

Il leader chavista continua a resistere unicamente grazie alla sua capacità infinita di repressione e alla fedeltà dell'esercito, confermata per l'ennesima volta. Per capire questa lealtà bisogna sottolineare che i militari godono di enormi privilegi in un paese in crisi e che sono a loro volta sorvegliati da vicino dai potenti servizi segreti del governo. Ma la sua "vittoria" questa volta è molto fragile per diversi motivi. Innanzitutto, se i risultati in possesso dell'opposizione sono reali, significa che due terzi del paese non tollera più il suo regime. La deriva di Caracas ha poi creato un fossato tra la sinistra democratica e quella autoritaria: Cuba, Nicaragua e Bolivia sono rimasti gli ultimi alleati in America Latina e non possono essere compagni di viaggio di lunga durata. Inoltre, questa deriva ha messo in forte imbarazzo i due leader progressisti, che più di altri si erano spesi a favore di Maduro. Il colombiano Petro rischia di trovarsi una nuova ondata di profughi venezuelani alla frontiera e non può più contare, per realizzare il suo piano di "pace totale", sull'aiuto contro gli ex guerriglieri delle FARC rifugiatesi in Venezuela e ormai diventati narcotrafficanti a tutti gli effetti. Lula dopo aver lottato contro il populismo di destra rischia di inciampare su quello di sinistra (Maduro non è certo meglio di Bolsonaro) e ha irritato l'opinione pubblica brasiliana, che non tollera la promiscuità con un regime dittatoriale, vista anche la storia recente. Bogotà e Brasilia comunque non desistono e alla luce della partenza di González hanno dichiarato che la loro strategia sarà "ripensata, ma non sepolta".

La Comunità internazionale continua a lavorare per una soluzione, proseguendo le pressioni su Caracas. Al momento solo la Spagna è riuscita a fare breccia portando a Madrid González su un suo aereo militare, grazie alla mediazione effettuata anche da Zapatero e al sempre valido richiamo dell'hispanidad, ma rimane un mistero se la "Venezziola (Piccola Venezia)", così chiamata dal suo scopritore assieme ad Amerigo Vespucci Alfonso de Ojeda, si farà rivedere nuovamente insieme ai suoi fratelli e cugini di sangue o sprofonderà ulteriormente tra le braccia degli eurasiatici.

The new institutional stalemate in Venezuela

During the last talks between the Venezuelan government and the opposition, held in Barbados on October 17, 2023 with the mediation of Norway, the two factions had reached an agreement on the organization of presidential elections in the second half of 2024, with the presence of international observers.

It was a moment that was partly favorable to Maduro. After years of zeroed-out relations, representatives of the Biden Administration had flown to Caracas to meet him, with the aim of renegotiating oil supplies from Venezuela, in light of the sanctions on Russian gas and oil and to try to separate the Latin American country from Moscow. The Chavista leader, after his twelve years in power, also seemed to have somehow weathered the worst of the storm. The economy, although still in difficulty, had at least stabilized. The opposition did not seem as united as before, in the administrative elections it had participated in a fragmented way, Maduro had thus managed to accumulate key positions in the regional government and Venezuela was slowly reintegrating into the Latin American international community, especially thanks to the action of the progressive presidents of the region: Lula had welcomed the Chavista leader in Brasilia with the honors reserved for an ally. The direct warning signs of Maduro's power had not disappeared, but they had lost the momentum that at a certain point seemed destined to depose him. Likewise, the main indirect threat, the economic collapse, while remaining in the background, had lost its urgency. These elements would have suggested to Maduro to act with moderation, but his authoritarian nature, as always, took over. The path to the elections was not linear, as expected: every week events occurred that raised doubts about the democratic guarantees of the vote. The opposition had managed to smooth out internal disagreements by designating the candidacy of the liberal centrist María Corina Machado, following primary elections. The Supreme Electoral Court (CSE), loyal to Maduro, not only invalidated the legitimacy of the primaries but also banned Machado from running, based on a series of fanciful accusations (tax fraud). The opposition then had to find another competitor in the person of former ambassador Edmundo González Urrutia, whom the Court could not find elements to oppose. Meanwhile, Maduro no longer wanted the presence of international observers and the European Union, despite the promises made in Barbados and the recommendations of the progressive presidents of the area (Petro and Lula). He was also worried by the fact that several polls gave him a clear loser. Between arrests of opponents and various intimidations, the vote was held on July 28. On the night of the same day, Maduro declared that he had won the presidential elections with 51.2% of the votes, against 44.2% for Edmundo González. The opposition immediately claimed that the data presented by the Chavista leader were false and that their candidate had obtained a consensus of over 70%, in line with the polls. There are clear doubts about the data with which the Venezuelan Electoral Council (the CNE, controlled by the government) awarded the victory to the outgoing president, moreover the counting of the votes had not yet concluded when the CNE announced the result (about 20% of the votes were missing).

The opposition leader, the aforementioned Machado, who had been prevented from participating in the elections by the regime, claimed that according to the electronic voting receipts, Maduro had been soundly defeated and asked for a manual re-examination of the votes. Maduro countered by saying that the counting had been slowed down due to a mysterious cyber attack orchestrated by the opposition and the Supreme Court of Justice (another body in the hands of the regime) confirmed the electoral data, without providing any counting minutes. Machado called for popular demonstrations to contest the "official" result. The violence of police repression thus returned, with deaths and thousands of arrests. The Western international community refused to recognize Maduro's re-election, while Russia, China, Iran, Cuba and Nicaragua enthusiastically confirmed their support for their ally. The Latin American left, on the other hand, was divided, no longer knowing how to behave with Maduro. The leaders of Mexico, Brazil and Colombia have maintained an accommodating approach, aimed at mediation, while Chilean President Gabriel Boric (the most left-wing of all) has been intransigent, not recognizing the result from the very beginning. After much hesitation, Brazil and Colombia have called for new presidential elections, while Mexico has preferred to maintain an ambiguous position. But the proposal for new consultations has been rejected both by the opposition, which claims victory, and by Maduro, who obviously does not want to take further risks. The United States, in order to find a way out, has started secret talks to convince Venezuelan President Maduro to leave power in exchange for a pardon. The Chavista leader, however, is not giving up at the moment, continues with his usual violent nationalist propaganda and has issued an arrest warrant for Edmundo González, accused of subversive terrorism. The Spanish government has intervened, managing to obtain safe conduct for González, who has already arrived in Madrid where he has been granted political asylum. The situation is also becoming more complicated. In Caracas, Venezuelan security forces have surrounded the Argentine embassy (which, after the breakdown of diplomatic relations, has been placed under the protection of Brazil), where six political leaders linked to the opposition have requested asylum. The Chavista leader then announced a mega-election for next year, in which Venezuelans will be called to elect members of Parliament, regional governors, mayors and city councils. According to a new anti-terrorism law, "enemies of the revolution" will not be able to run, in practice we are moving towards a Cuban-style one-party regime. Caracas has also reiterated its request to join the BRICS bloc, knowing that Russia and China, its main allies, are ready to grant it. Maduro, now in the grip of a delirium of omnipotence, also wants to move the date of Christmas in the Bolivarian Republic to October 1st "to favor gifts and aid to those most in need".

With this strategy, the Venezuelan government seems to have chosen the path indicated by Daniel Ortega, definitively closing off any hypothesis of mediation advocated by the progressive presidents of Brazil, Colombia and Mexico. Lula da Silva, particularly committed to mediation, had to sadly admit that Maduro's conduct is "disappointing".

This is the provisional epilogue of the political crisis opened by the presidential elections in July. The hope of democratically defeating Maduro has so far failed, in fact he was proclaimed the winner with 52% of the votes, despite the opposition having shown data from the polling stations according to which González had obtained double the votes compared to his opponent. The regime has not produced any proof of its alleged victory. Maduro has reacted as usual, repressing popular protests with about thirty deaths and the arrest of two thousand people, while the opposition candidate has preferred exile to the certainty of prison.

The Chavista leader continues to resist only thanks to his infinite capacity for repression and the loyalty of the army, confirmed for the umpteenth time. To understand this loyalty, it must be emphasized that the military enjoys enormous privileges in a country in crisis and that they are in turn closely monitored by the powerful government secret services. But his "victory" this time is very fragile for several reasons. First of all, if the results in the hands of the opposition are real, it means that two-thirds of the country no longer tolerates his regime. The drift in Caracas has also created a gap between the democratic and authoritarian left: Cuba, Nicaragua and Bolivia are the last allies in Latin America and cannot be long-term traveling companions. Furthermore, this drift has greatly embarrassed the two progressive leaders, who had spent more than others in favor of Maduro. Colombian Petro risks finding himself with a new wave of Venezuelan refugees at the border and can no longer count, to implement his plan for "total peace", on help against the former FARC guerrillas who have taken refuge in Venezuela and have now become drug traffickers in all respects. After having fought against right-wing populism, Lula risks stumbling upon left-wing populism (Maduro is certainly no better than Bolsonaro) and has irritated Brazilian public opinion, which does not tolerate promiscuity with a dictatorial regime, given recent history. However, Bogota and Brasilia do not give up and in light of González's departure they have declared that their strategy will be "rethought, but not buried". The international community continues to work for a solution, continuing to put pressure on Caracas. At the moment only Spain has managed to make a breakthrough by bringing González to Madrid on one of its military planes, thanks also to the mediation carried out by Zapatero and the ever-valid appeal of hispanidad, but it remains a mystery whether the "Venezziola (Little Venice)", so called by its discoverer together with Amerigo Vespucci Alfonso de Ojeda, will be seen again together with its brothers and blood cousins ​​or will sink further into the arms of the Eurasians.

di Giorgio MALFATTI DI MONTE TRETTO