Israele ad un anno dal 7 ottobre/Israel, one year on from October 7th
Enrico ELLERO - Intervista a Fiamma Nirenstein, giornalista, scrittrice, editorialista da Gerusalemme per "Il Giornale" e consigliere del Ministero degli Esteri israeliano per la lotta contro l'antisemitismo.
Dottoressa Nirenstein, siamo ormai ad un anno dal 7 ottobre 2023, una data che purtroppo resterà nei libri di storia. Che significato ha avuto per Israele questo attacco e che cosa lo differenzia dagli attacchi terroristici che il paese subisce da sempre?
Questo attacco segna un punto di svolta epocale, non soltanto per il numero di vittime, di feriti e di ostaggi, ma anche per la crudeltà che i terroristi di Hamas hanno voluto dimostrare. Israele è abituata a subire attacchi sanguinari con migliaia di vittime, basti pensare agli attentati suicidi durante la Seconda Intifada, ma questo livello di disumanità non era mai stato raggiunto prima del 7 ottobre.
Uccidere neonati e donne, sterminare intere famiglie nelle loro case e filmare tutto questo con telecamere e telefonini, a scopo propagandistico, è un orrore difficile anche soltanto da immaginare. È stato il peggior pogrom antisemita dai tempi della Shoah, un attacco che aveva l'unico obiettivo di uccidere quanti più ebrei possibile e di rapire centinaia di innocenti.
Hamas sapeva naturalmente che un attacco di queste dimensioni avrebbe comportato una durissima risposta da parte di Israele, ma per loro uccidere gli ebrei è più importante che difendere la popolazione di Gaza. Gli stessi leader di Hamas hanno ripetuto in più occasioni che il sangue dei bambini, delle donne e degli anziani palestinesi è necessario per la lotta di liberazione. La loro ideologia si basa sul culto della morte e del sacrificio, mentre per Israele la vita è il primo dei valori, come per tutto il mondo giudaico-cristiano.
La società israeliana è tuttora molto scossa da questo attacco, ma Israele è un paese forte, temprato da decenni di guerra. Non abbiamo stravolto le nostre abitudini e la vita va avanti come sempre, anche se molti riservisti, ragazzi, ragazze, padri e madri di famiglia, sono stati richiamati in servizio e sono andati a combattere a Gaza oppure nel nord del paese, lasciando il lavoro, la famiglia e i loro interessi. Tutto il popolo si stringe intorno a loro e sostiene i loro sforzi e i loro sacrifici.
L'attacco del 7 ottobre ha minato la fiducia che gli israeliani ripongono nelle istituzioni del paese, prime fra tutte la politica, le forze armate e l'intelligence?
L'attacco del 7 ottobre e il doppio fallimento, nel non averlo previsto e nel modo in cui è stato affrontato nelle prime ore, hanno certamente suscitato forti critiche e acuito alcune divisioni che erano già presenti all'interno della società israeliana, come è logico che sia in un paese democratico. Netanyahu, che già prima del 7 ottobre veniva aspramente criticato dalla sinistra, è diventato spesso il capro espiatorio a cui attribuire ogni responsabilità per quanto successo quel giorno e nei mesi successivi. Oltre a questo, la sinistra lo accusa di essersi piegato all'estrema destra, rappresentata dai ministri Ben Gvir e Smotrich. Non è così: gli equlibri politici in Israele sono sempre molto precari e per ottenere la maggioranza servono 61 seggi alla Knesset. Netanyahu guida quindi un governo di coalizione che comprende diversi partiti, laici e religiosi, di centro e di destra, e l'estrema destra non è certamente maggioritaria, mentre lo è il Likud, che è un partito laico.
Israele è una democrazia matura, un paese che si mette sempre in discussione, perciò è normale che ci siano spaccature anche profonde.
La fiducia nei nostri soldati e l'ammirazione per la loro dedizione al Paese è massima, ed è grande lo strazio per i 700 caduti in combattimento. Sicuramente il 7 ottobre è stato un fallimento dal punto di vista della sicurezza, ma negli ultimi mesi l'Idf e l'intelligence hanno dimostrato ancora una volta il loro valore, come sempre dal 1948. Israele sta tenendo testa ai suoi nemici su più fronti e ha decimato le strutture di comando di Hamas e di Hezbollah. Siamo in grado di colpire con grande precisione in Iran, in Libano, nello Yemen e in Siria. Le nostre forze armate e i nostri servizi di sicurezza sono un'eccellenza assoluta.
Ci sono, però, delle istituzioni nelle quali gli israeliani hanno davvero perso fiducia: le organizzazioni internazionali. L'Onu ha sempre avuto un pregiudizio anti-israeliano, ben rappresentato sin dalla famigerata risoluzione 3379 del 1975 che definisce il sionismo una forma di razzismo o dalla Conferenza di Durban (Sudafrica) del 2001, organizzata dall'Unesco, che pur essendo intitolata "Conferenza mondiale contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza", si è occupata quasi esclusivamente di criminalizzare Israele e il sionismo. Ancora oggi, come abbiamo visto, l'Onu si serve del Sudafrica per attaccare Israele, creando un falso parallelismo tra l'apartheid sudafricana e la presunta apartheid subita dagli arabi in Israele. In Israele gli arabi godono degli stessi diritti degli ebrei, ci sono medici arabi, dirigenti arabi, rettori universitari arabi, membri del Bagatz (Corte Suprema) arabi, perfettamente integrati nella società israeliana. Parlare di apartheid è veramente fuorviante.
Che dire poi dell'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, un'istituzione che dovrebbe avere finalità umanitarie ed essere super partes? Nelle chat del personale dell'agenzia si celebrava il massacro del 7 ottobre, al quale alcuni dipendenti (almeno nove) avrebbero partecipato attivamente. Nelle loro scuole e nei loro campi estivi, inoltre, vengono distribuiti libri di testo in cui si insegna a uccidere gli ebrei.
Il pregiudizio anti-israeliano non è diffuso soltanto all'interno delle organizzazioni internazionali, ma anche in buona parte dell'opinione pubblica occidentale. Da dove nasce storicamente questo pregiudizio?
Le sue radici sono naturalmente nell'antisemitismo, che dopo essere stato per millenni religioso e razziale, con la nascita di Israele ha assunto la forma dell'antisionismo.
In Occidente l'odio per Israele come Stato è figlio soprattutto della propaganda sovietica e comunista, che ha sempre rappresentato Israele come un avamposto americano, occidentale, colonialista, capitalista e razzista in Medio Oriente.
Ciò che vediamo oggi nelle università e nelle piazze si inserisce nel solco di quella tradizione. Le accuse di genocidio, di apartheid, di suprematismo, di colonialismo, di cui si riempiono la bocca i movimenti woke, sono l'evoluzione della propaganda sovietica terzomondista, semplicemente adattata al contesto attuale. Israele, al contrario di quanto sostengono i movimenti propal, non è affatto uno Stato colonialista e suprematista. Semmai la nascita di Israele può essere vista come il miglior risultato del processo di decolonizzazione, che ha riportato gli ebrei nella loro terra originaria, fondandovi l'unica democrazia del Medio Oriente, senza opporsi, per altro, alla nascita di uno stato arabo palestinese, che non era mai esistito precedentemente. Bisogna sempre ricordare che furono gli arabi a non accettare fin dall'inizio la soluzione a due stati, uno arabo e uno ebraico, che è stata proposta e riproposta più volte.
Perché è così difficile spiegare le ragioni di Israele in questa guerra? Perché invece la propaganda palestinese sembra così forte e pervasiva?
Per diversi motivi: il primo è l'antisemitismo, diffuso in tutto il mondo. Israele è lo stato ebraico e agli occhi di molti questo rappresenta già una colpa. L'odio antisemita, che spesso, come dicevo prima, si nasconde dietro la comoda maschera dell'antisionismo, colpisce Israele e gli ebrei per il fatto di esistere, non per ciò che fanno. È evidente dunque che il dibattito sulle ragioni e i torti di Israele sia inquinato in partenza.
In secondo luogo, il patriottismo: la sinistra globale e i media progressisti detestano il fatto che gli israeliani abbiano un forte sentimento nazionale e un grandissimo attaccamento alla bandiera, alle tradizioni, alla cultura ebraica. Non si tratta di una forma aggressiva di nazionalismo, come quella che ha caratterizzato alcuni paesi europei negli anni Trenta, bensì di autodeterminazione di un popolo.
Terzo, Israele è un paese forte dal punto di vista militare, che si è sempre difeso e continuerà a farlo. Perciò agli occhi di una parte dell'opinione pubblica siamo un paese militarista e guerrafondaio, anche se non abbiamo certo interesse a mandare i nostri giovani a morire a Gaza o in Libano. Se combattiamo è perché non abbiamo alternative, se vogliamo sopravvivere.
Infine, Israele è visto come la parte forte e occidentale in questo conflitto, mentre i palestinesi come la parte debole e terzomondista. Molti pensano che il debole abbia ragione a prescindere, indipendemente dalle cause del conflitto e dalla forma di governo degli attori coinvolti. Se c'è una sproporzione numerica fra i morti israeliani e i morti palestinesi, se Gaza è più danneggiata delle città israeliane, se Israele ha un esercito mentre i palestinesi no, allora sicuramente Israele ha torto. Un modo di ragionare scorretto e semplicistico, ma purtroppo molto diffuso.
La propaganda di Hamas, inoltre, fa leva sull'emotività, amplifica le cifre dei morti, disumanizza gli israeliani facendoli passare per mostri assetati di sangue. E i media occidentali tendono spesso a dare per buona la loro versione dei fatti, senza verificarne l'attendibilità.
Che futuro vede per questo conflitto?
Questo non è soltanto un conflitto tra Israele e Hamas. L'attacco che Israele sta subendo è un'offensiva su larga scala, guidata dall'Iran e portata avanti da numerosi gruppi terroristici, sciiti come Hezbollah e gli Houthi o sunniti come Hamas. Sullo sfondo ci sono le grandi potenze nemiche dell'Occidente, come Russia e Cina. È tutto l'Occidente giudaico-cristiano l'obiettivo dell'offensiva.
Israele in questo momento sta combattendo una guerra per tutto l'Occidente, ma i contraccolpi si vedono già anche in Europa. Gli ultimi attentati islamisti in Francia e Germania hanno colpito indiscriminatamente ebrei e cristiani. Il futuro del conflitto perciò non riguarderà solo Israele, che resterà l'avamposto del grande scontro che per anni impegnerà il mondo intero.
Israel, one year on from October 7th
Interview with Fiamma Nirenstein, journalist, writer, editorialist from Jerusalem for "Il Giornale" and advisor to the Israeli Ministry of Foreign Affairs for the fight against anti-Semitism.
Doctor Nirenstein, we are now one year away from October 7th 2023, a date that unfortunately will remain in the history books. What significance did this attack have for Israel and what differentiates it from the terrorist attacks that the country has always suffered?
This attack marks an epochal turning point, not only for the number of victims, wounded and hostages, but also for the cruelty that the Hamas terrorists wanted to demonstrate. Israel is used to suffering bloody attacks with thousands of victims, just think of the suicide attacks during the Second Intifada, but this level of inhumanity had never been reached before October 7th.
Killing babies and women, exterminating entire families in their homes and filming all this with cameras and cell phones, for propaganda purposes, is a horror that is difficult even to imagine. It was the worst anti-Semitic pogrom since the Holocaust, an attack that had the sole objective of killing as many Jews as possible and kidnapping hundreds of innocents.
Hamas naturally knew that an attack of this size would have led to a very harsh response from Israel, but for them killing Jews is more important than defending the population of Gaza. The leaders of Hamas themselves have repeated on several occasions that the blood of Palestinian children, women and elderly people is necessary for the struggle for liberation. Their ideology is based on the cult of death and sacrifice, while for Israel life is the first of the values, as for the entire Judeo-Christian world.
Israeli society is still very shaken by this attack, but Israel is a strong country, tempered by decades of war. We have not changed our habits and life goes on as usual, even though many reservists, boys, girls, fathers and mothers of families, have been called up for service and have gone to fight in Gaza or in the north of the country, leaving their jobs, their families and their interests. All the people rally around them and support their efforts and their sacrifices.
Did the attack of October 7 undermine the trust that Israelis place in the institutions of the country, first and foremost politics, the armed forces and intelligence?
The attack of October 7 and the double failure, in not having foreseen it and in the way in which it was dealt with in the first hours, have certainly aroused strong criticism and sharpened some divisions that were already present within Israeli society, as is logical in a democratic country. Netanyahu, who was already harshly criticized by the left before October 7, has often become the scapegoat to whom all responsibility is attributed for what happened that day and in the months that followed. In addition to this, the left accuses him of having bowed to the extreme right, represented by ministers Ben Gvir and Smotrich. This is not the case: the political balance in Israel is always very precarious and to obtain a majority, 61 seats in the Knesset are needed. Netanyahu therefore leads a coalition government that includes various parties, secular and religious, from the center and the right, and the extreme right is certainly not the majority, while the Likud, which is a secular party, is.
Israel is a mature democracy, a country that always questions itself, so it is normal that there are even deep divisions.
Confidence in our soldiers and admiration for their dedication to the country is at its highest, and the heartbreak for the 700 fallen in combat is great. October 7 was certainly a failure from a security perspective, but in recent months the IDF and intelligence have once again demonstrated their value, as they have done since 1948. Israel is holding its ground against its enemies on multiple fronts and has decimated the command structures of Hamas and Hezbollah. We are capable of striking with great precision in Iran, Lebanon, Yemen and Syria. Our armed forces and our security services are absolutely excellent.
There are, however, institutions in which the Israelis have truly lost confidence: international organizations. The UN has always had an anti-Israeli bias, well represented since the infamous resolution 3379 of 1975 that defines Zionism as a form of racism or the Durban Conference (South Africa) of 2001, organized by UNESCO, which despite being entitled "World Conference against Racism, Racial Discrimination, Xenophobia and Related Intolerance", was almost exclusively concerned with criminalizing Israel and Zionism. Even today, as we have seen, the UN uses South Africa to attack Israel, creating a false parallel between South African apartheid and the alleged apartheid suffered by Arabs in Israel. In Israel, Arabs enjoy the same rights as Jews, there are Arab doctors, Arab leaders, Arab university rectors, Arab members of the Bagatz (Supreme Court), perfectly integrated into Israeli society. Talking about apartheid is truly misleading. What about UNRWA, the UN agency for Palestinian refugees, an institution that should have humanitarian purposes and be super partes? In the agency's staff chats, the October 7 massacre was celebrated, in which some employees (at least nine) were said to have actively participated. In their schools and summer camps, moreover, textbooks are distributed that teach how to kill Jews.
Anti-Israeli prejudice is not only widespread within international organizations, but also in a large part of Western public opinion. Where does this prejudice historically come from?
Its roots are naturally in anti-Semitism, which after having been religious and racial for millennia, with the birth of Israel took the form of anti-Zionism.
In the West, hatred for Israel as a state is the child above all of Soviet and communist propaganda, which has always represented Israel as an American, Western, colonialist, capitalist and racist outpost in the Middle East.
What we see today in universities and squares is part of that tradition. The accusations of genocide, apartheid, supremacism, colonialism, which the woke movements are full of, are the evolution of Third World Soviet propaganda, simply adapted to the current context. Israel, contrary to what the propal movements claim, is not a colonialist and supremacist state at all. If anything, the birth of Israel can be seen as the best result of the decolonization process, which brought the Jews back to their original land, founding the only democracy in the Middle East, without opposing, moreover, the birth of a Palestinian Arab state, which had never existed before. We must always remember that it was the Arabs who did not accept the two-state solution, one Arab and one Jewish, from the beginning, which has been proposed and re-proposed several times.
Why is it so difficult to explain Israel's reasons in this war? Why does Palestinian propaganda seem so strong and pervasive?
For several reasons: the first is anti-Semitism, which is widespread throughout the world. Israel is the Jewish state and in the eyes of many this already represents a fault. Anti-Semitic hatred, which often, as I said before, hides behind the comfortable mask of anti-Zionism, hits Israel and the Jews for the fact that they exist, not for what they do. It is therefore clear that the debate on the rights and wrongs of Israel is tainted from the start.
Secondly, patriotism: the global left and the progressive media detest the fact that Israelis have a strong national sentiment and a great attachment to the flag, to traditions, to Jewish culture. It is not an aggressive form of nationalism, like that which characterized some European countries in the 1930s, but rather the self-determination of a people.
Third, Israel is a country strong from a military point of view, which has always defended itself and will continue to do so. Therefore, in the eyes of a part of the public opinion, we are a militaristic and warmongering country, even if we certainly have no interest in sending our young people to die in Gaza or Lebanon. If we fight, it is because we have no alternatives, if we want to survive.
Finally, Israel is seen as the strong and Western side in this conflict, while the Palestinians are seen as the weak and Third World side. Many think that the weak are right regardless of the causes of the conflict and the form of government of the actors involved. If there is a numerical disproportion between Israeli deaths and Palestinian deaths, if Gaza is more damaged than Israeli cities, if Israel has an army while the Palestinians do not, then Israel is certainly wrong. An incorrect and simplistic way of reasoning, but unfortunately very widespread.
Hamas propaganda also plays on emotions, amplifies the death tolls, dehumanizes Israelis by making them look like bloodthirsty monsters. And Western media often tend to take their version of events as true, without verifying their reliability.
What future do you see for this conflict?
This is not just a conflict between Israel and Hamas. The attack that Israel is suffering is a large-scale offensive, led by Iran and carried out by numerous terrorist groups, Shiites like Hezbollah and the Houthis or Sunnis like Hamas. In the background are the great powers that are enemies of the West, such as Russia and China. The entire Judeo-Christian West is the target of the offensive.
Israel is currently fighting a war for the entire West, but the repercussions are already being seen in Europe. The latest Islamist attacks in France and Germany have indiscriminately hit Jews and Christians. The future of the conflict will therefore not only concern Israel, which will remain the outpost of the great clash that will engage the entire world for years.
Enrico ELLERO