L’identità reticolare e l’evoluzione della biopolitica/Network Identity and the Evolution of Biopolitics
Luca BARALDI - "Amo le mappe perché dicono bugie." Le parole di Wisłwawa Szymborska, Nobel per la letteratura nel 1996, esprimono meglio di ogni altro saggio l'inadeguatezza - o la sdrucciolevolezza - della capacità rappresentativa dei sistemi descrittivi convenzionali. Tutto ciò che è codificabile, è - più o meno deliberatamente - manipolabile. Molto spesso si corre il rischio di trascurare le implicazioni profondamente strategiche e geopolitiche dell'analisi dell'impatto culturale (e conseguentemente socio-economico) di una realtà tradotta in dati, giudicata in base ai dati e in base a questi indirizzata e governata. Nell'era della progressiva smaterializzazione della conoscenza, organizzata all'interno di strutture gestionali predefinite, vediamo rapidamente assottigliarsi la soglia tra evidenza e dubbio, tra credibilità e verificabilità, tra dimostrabilità e legittimità. Nell'era della privatizzazione dei sistemi mediatici, la monetizzazione dell'attenzione influenza radicalmente i meccanismi di attribuzione della rilevanza dei contenuti. In un'epoca in cui i dispositivi della visione non servono più per vedere, ma per farsi vedere, la differenza tra responsabilità comunicativa e dipendenza comunicativa sovverte con facilità i flussi di produzione, distribuzione e ricezione dell'informazione.
La reticolarità della conoscenza distribuita, sempre fondata al contempo su infrastrutture di gestione dati e tecnologie di fruizione, determina una radicale cessione di sovranità cognitiva, che trasferisce alla navigabilità dello spazio digitale la possibilità di accesso all'informazione e di attivazione dell'esperienza fisica. I nostri indirizzi comportamentali, le nostre scelte e le nostre azioni rischiano di essere il risultato - più o meno consapevole - di strategie economiche e politiche che indirizzano i nostri ragionamenti e i nostri desideri. Stiamo consolidando le nostre abitudini sulla base di un equilibrio, apparentemente paradossale, tra società della visibilità, socializzazione dello spazio privato e convinzione della secretabilità dei nostri comportamenti nell'esperienza di navigazione. Contemporaneamente vogliamo essere visti - dipendiamo dal bisogno autoalimentato di essere visti! - e pretendiamo di poterci nascondere. Scivoliamo, senza rendercene conto, in uno spazio di esistenza che si alimenta nel proiettare nel cyberspazio la riconoscibilità dell'esperienza fisica. Se Antoine Garapon, nel suo La despazializzazione della giustizia (2021), evidenzia come lo spazio digitale non si sostituisca, ma si sovrapponga allo spazio fisico, dilatandone le possibilità e ridiscutendone la governabilità, Miguel Benasayag, ne La Tyrannie des Algorithmes (2019) parla della fragilità della post-democrazia, in cui le nuove comunità percepiscono il corpo come un elemento resistente, come un oggetto recalcitrante. La proliferazione di teorie ed interpretazioni sociali e politiche dell'interazione tra mondo digitale e mondo fisico, non di rado contraddittorie, dipende dalla natura instabile della tecnologia, dall'innovatività della geopolitica digitale e dalla rapida trasformazione antropologica dell'essere umano nella sua relazione con le tecnologie di automazione, virtualizzazione e potenziamento cognitivo. La natura dell'individuo reticolare e la sua esistenza ibrida cedono alle regole di un universo relazionale di esposizione modulabile, tra scelte di visibilità e rivendicazioni di riservatezza, tra spazi di occultamento e desideri di interazione.
Modulare l'esposizione significa, come efficacemente detto da Dominique Cardon in un articolo del 2008 (Le Design de la visibilité. Un essai de cartographie du Web 2.0), gestire in chiaro-scuro l'identità e i criteri di visibilità, scegliendo cosa valorizzare e cosa ammettere di sé e della propria storia, al contempo selezionando cosa dissimulare e cosa omettere. Nello spazio digitale, sfuggire ai meccanismi della ricercabilità tramite i motori di ricerca significa, almeno apparentemente, svanire, come un libro fuori posto in una biblioteca. Mai come ora la corrispondenza tra irreperibilità ed inesistenza assume un carattere pericoloso, nella governabilità della società digitalizzata e nella sorvegliabilità - e difendibilità - della stabilità sociale. Foucault, nel suo Sorvegliare e punire (1975), parlava del Panopticon come di un dispositivo spaziale di controllo sociale, teorizzando la funzione dello stato cosciente di visibilità indotto nei detenuti come la garanzia del funzionamento automatico del potere. I nostri comportamenti, come individui e come società, dipendono, almeno in parte, dalla convinzione o dal timore di essere visti. Al di fuori dei contesti di visibilità cosciente e condivisa, la legittimità dell'autorità viene contestata più facilmente, attribuendo alla libertà individuale il diritto di ridefinire il senso stesso della giustizia. Può valere per azioni apparentemente banali, come una maggiore autoindulgenza nella cessione a forme di violenza verbale, protetti da condizioni di anonimato o pseudonimia sui social. Ma può valere anche per la pericolosità, progressivamente crescente, indotta dalla convinzione dell'immunità (ciò che non è fisico non avviene realmente) e dalla possibilità di muoversi in una condizione di potenziale anonimato. La smaterializzazione dell'esistenza trasmette, erroneamente, l'idea di poter vedere relativizzato, laddove non addirittura depenalizzato, un atto lesivo condotto in uno spazio solamente digitale.
Nell'ibridazione sempre più pervasiva tra realtà fisica e realtà digitale, il cyberspazio diventa un luogo potenziale di incubazione di comportamenti lesivi della collettività, in maniera più strutturata e strutturalmente rischiosa.
Lo scorso 28 giugno le Nazioni Unite hanno presentato il report Beneath the surface: terrorist and violent use of the darkweb and cybercrime-as-a-service for cyber-attacks, elaborato dalla collaborazione tra United Nations Counter-Terrorism Centre (parte dell'Office of Counter-Terrorism) e United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute. Il documento descrive la natura fortemente ideologica di molti dei cyber-attacchi degli ultimi anni, più frequentemente mossi da credenze politiche, religiose o sociali, piuttosto che da mero opportunismo di natura economica. Gli attori minacciosi identificati sempre più spesso utilizzano gli attacchi informatici per propugnare e diffondere specifici sistemi di credenza, attaccando presunti avversari, oppositori o soggetti delegittimanti. L'analisi degli attacchi mostra con chiarezza come la convergenza di visioni anti-sistemiche, esercitate attraverso il crimine informatico (cybercrime), possa aumentare il rischio di attacchi legati al terrorismo e all'estremismo violento. Se fino a tempi recentissimi la soglia d'accesso a potenzialità di questo tipo, prevalentemente attivabili nel dark web, era mantenuta alta dalla necessità di competenze tecniche molto avanzate, il mercato dei servizi ha colto la centralità abilitante della facilità d'uso (potremmo parlare in maniera esplicita, per quanto apparentemente fuori luogo, di user-friendliness). Da una condizione iniziale di complessità quasi iniziatica dell'accesso a servizi e prodotti nel dark web, siamo oggi in condizione di rilevare l'esistenza e la rapida implementazione di un vero e proprio sistema di cybercrime-as-a-service. Questo rappresenta un cambiamento paradigmatico nel mondo della criminalità informatica, democratizzando l'accesso alle capacità avanzate di attacco informatico e favorendo una diversificazione dei contesti possibili di mercato. Accessibilità, efficacia, risparmio di tempo, disponibilità di supporto tecnico e aggiornamenti sono solo alcune delle caratteristiche che progressivamente stanno perfezionando un mercato fondato sull'evoluzione tecnologica, ma sempre più indirizzato - oserei dire nuovamente - verso una funzionalità ecosistemica di tipo ideologico. Il progressivo slittamento verso un sistema as-a-service consente a gruppi normalmente operanti in maniera isolata di alimentare nuove forme di collaborazione, con condizioni di specializzazione verticale e di potenziale universalizzazione delle competenze. La possibilità di operare nel dark web, lontano dai riflettori della conoscenza indicizzata o dell'informazione tracciabile, permette di agire nell'ombra, disinnescando meccanismi psicologici che, in molti casi, rappresentavano un elemento di resistenza nella diffusione di comportamenti lesivi collettivi.
L'accesso al dark web è diventato più semplice, grazie a software specializzati, come The Onion Router (Tor), che forniscono un livello avanzato di anonimato, attraverso connessioni peer-to-peer, utilizzando protocolli e porte d'accesso alla rete non standard. La piattaforma Tor, che utilizza una tecnica chiamata "onion routing", incapsula i dati in più livelli di crittografia, rendendo estremamente difficile per le parti non autorizzate tracciare l'origine o la destinazione di un messaggio. La riflessione biopolitica di Foucault non perde legittimità, ma trova anzi conferma nella maggiore disponibilità all'autoassoluzione, operando all'interno di un sistema anonimizzante, gestito e garantito dal funzionamento efficace di reti di servizi e dalla complicità operante di vere e proprie reti di collaborazione. Nel luglio 2024, il report The Dark Web as Enabler for Terrorist Activities, redatto da Soumya Awashti per l'Observer Research Foundation, evidenzia chiaramente come l'anonimato rappresenti al contempo un freno alle strategie di deterrenza e un accelerante per la diffusione e il potenziamento dei servizi disponibili. Il tentativo delle Nazioni Unite di sensibilizzare l'opinione pubblica e potenziare le iniziative di policy making, ad esempio con la Dehli Declaration on countering the use of new and emerging technologies for terrorist purposes del 2022, rischia però di trovare fondamenta deboli, in assenza di un'azione diffusa di alfabetizzazione sociale sul tema. Se è vero, come si usa dire nel mondo della cybersecurity, che molto spesso l'elemento più vulnerabile è la variabile umana, è altrettanto vero che quella variabile può essere, contemporaneamente, educata ad un comportamento consapevole o letteralmente hackerata e indotta ad adottare comportamenti lesivi o criminosi.
In un equilibrio scomposto, tra desiderio di visibilità e pretesa di riservatezza nello spazio digitale, il timore dell'esposizione involontaria viene compensato con nuove possibilità di anonimato (o di dissimulazione di identità). La reticolarità dell'identità digitale alimenta nuovi meccanismi di autocontrollo sociale, che hanno determinato un'evoluzione dal panoptismo gerarchico ad un panoptismo orizzontale e reticolare. Al di fuori dei meccanismi di visibilità reciproca, in una condizione possibile di vera segretezza (il dark web), i codici comportamentali rischiano di venire sovvertiti dall'eccesso di libertà percepita, o hackerati da strategie comunicative appositamente create per spazi immuni alla sorveglianza sociale. Lo abbiamo detto in apertura: tutto ciò che è codificabile - incluso il nostro modo di pensare - è manipolabile. Szymborska, con una leggerezza poetica che può apparire utopistica, lo dice chiaramente, descrivendo l'amore per le mappe che "con indulgenza e buonumore /sul tavolo mi dispiegano un mondo / che non è di questo mondo." Se il nostro modo di orientarci, anche in uno spazio digitale, dipende dalle mappe che utilizziamo, e se ogni mappa, in quanto codice, è il risultato di uno sforzo convenzionale per rappresentare un'approssimazione della realtà, forse dobbiamo ricominciare ad interrogarci su quali siano gli elementi veramente rilevanti, nella nostra geografia valoriale. Forse dobbiamo cercare di comprendere, nell'onestà della riflessione individuale e collettiva, quali siano i limiti della nostra natura e quali debbano essere, in maniera preventiva, le misure di limitazione e compensazione da adottare. La lotta al crimine digitale, in un sistema potenzialmente accelerato dalle opportunità offerte dal cybercrime-as-a-service, non può che fondarsi su un radicale ripensamento dell'educazione ad una nuova corresponsabilità sociale. Forse, in fondo, il dark web non rappresenta altro che uno spazio di amplificazione di ciò che - al di fuori dei meccanismi regolatori della visibilità reciproca - potremmo accettare di fare, concedendoci maggiore indulgenza per errori che, non visti, non sono poi così gravi come potrebbero sembrare. Pensandoci bene, negli spazi senza mappe, come possiamo sapere se ci siamo persi davvero? In maniera ancora più diretta: negli spazi senza mappe, ha poi così importanza saper scegliere la direzione giusta?
Network Identity and the Evolution of Biopolitics
Luca BARALDI - "Amo le mappe perché dicono bugie." Le parole di Wisłwawa Szymborska, Nobel per la letteratura nel 1996, esprimono meglio di ogni altro saggio l'inadeguatezza - o la sdrucciolevolezza - della capacità rappresentativa dei sistemi descrittivi convenzionali. Tutto ciò che è codificabile, è - più o meno deliberatamente - manipolabile. Molto spesso si corre il rischio di trascurare le implicazioni profondamente strategiche e geopolitiche dell'analisi dell'impatto culturale (e conseguentemente socio-economico) di una realtà tradotta in dati, giudicata in base ai dati e in base a questi indirizzata e governata. Nell'era della progressiva smaterializzazione della conoscenza, organizzata all'interno di strutture gestionali predefinite, vediamo rapidamente assottigliarsi la soglia tra evidenza e dubbio, tra credibilità e verificabilità, tra dimostrabilità e legittimità. Nell'era della privatizzazione dei sistemi mediatici, la monetizzazione dell'attenzione influenza radicalmente i meccanismi di attribuzione della rilevanza dei contenuti. In un'epoca in cui i dispositivi della visione non servono più per vedere, ma per farsi vedere, la differenza tra responsabilità comunicativa e dipendenza comunicativa sovverte con facilità i flussi di produzione, distribuzione e ricezione dell'informazione.
La reticolarità della conoscenza distribuita, sempre fondata al contempo su infrastrutture di gestione dati e tecnologie di fruizione, determina una radicale cessione di sovranità cognitiva, che trasferisce alla navigabilità dello spazio digitale la possibilità di accesso all'informazione e di attivazione dell'esperienza fisica. I nostri indirizzi comportamentali, le nostre scelte e le nostre azioni rischiano di essere il risultato - più o meno consapevole - di strategie economiche e politiche che indirizzano i nostri ragionamenti e i nostri desideri. Stiamo consolidando le nostre abitudini sulla base di un equilibrio, apparentemente paradossale, tra società della visibilità, socializzazione dello spazio privato e convinzione della secretabilità dei nostri comportamenti nell'esperienza di navigazione. Contemporaneamente vogliamo essere visti - dipendiamo dal bisogno autoalimentato di essere visti! - e pretendiamo di poterci nascondere. Scivoliamo, senza rendercene conto, in uno spazio di esistenza che si alimenta nel proiettare nel cyberspazio la riconoscibilità dell'esperienza fisica. Se Antoine Garapon, nel suo La despazializzazione della giustizia (2021), evidenzia come lo spazio digitale non si sostituisca, ma si sovrapponga allo spazio fisico, dilatandone le possibilità e ridiscutendone la governabilità, Miguel Benasayag, ne La Tyrannie des Algorithmes (2019) parla della fragilità della post-democrazia, in cui le nuove comunità percepiscono il corpo come un elemento resistente, come un oggetto recalcitrante. La proliferazione di teorie ed interpretazioni sociali e politiche dell'interazione tra mondo digitale e mondo fisico, non di rado contraddittorie, dipende dalla natura instabile della tecnologia, dall'innovatività della geopolitica digitale e dalla rapida trasformazione antropologica dell'essere umano nella sua relazione con le tecnologie di automazione, virtualizzazione e potenziamento cognitivo. La natura dell'individuo reticolare e la sua esistenza ibrida cedono alle regole di un universo relazionale di esposizione modulabile, tra scelte di visibilità e rivendicazioni di riservatezza, tra spazi di occultamento e desideri di interazione.
Modulare l'esposizione significa, come efficacemente detto da Dominique Cardon in un articolo del 2008 (Le Design de la visibilité. Un essai de cartographie du Web 2.0), gestire in chiaro-scuro l'identità e i criteri di visibilità, scegliendo cosa valorizzare e cosa ammettere di sé e della propria storia, al contempo selezionando cosa dissimulare e cosa omettere. Nello spazio digitale, sfuggire ai meccanismi della ricercabilità tramite i motori di ricerca significa, almeno apparentemente, svanire, come un libro fuori posto in una biblioteca. Mai come ora la corrispondenza tra irreperibilità ed inesistenza assume un carattere pericoloso, nella governabilità della società digitalizzata e nella sorvegliabilità - e difendibilità - della stabilità sociale. Foucault, nel suo Sorvegliare e punire (1975), parlava del Panopticon come di un dispositivo spaziale di controllo sociale, teorizzando la funzione dello stato cosciente di visibilità indotto nei detenuti come la garanzia del funzionamento automatico del potere. I nostri comportamenti, come individui e come società, dipendono, almeno in parte, dalla convinzione o dal timore di essere visti. Al di fuori dei contesti di visibilità cosciente e condivisa, la legittimità dell'autorità viene contestata più facilmente, attribuendo alla libertà individuale il diritto di ridefinire il senso stesso della giustizia. Può valere per azioni apparentemente banali, come una maggiore autoindulgenza nella cessione a forme di violenza verbale, protetti da condizioni di anonimato o pseudonimia sui social. Ma può valere anche per la pericolosità, progressivamente crescente, indotta dalla convinzione dell'immunità (ciò che non è fisico non avviene realmente) e dalla possibilità di muoversi in una condizione di potenziale anonimato. La smaterializzazione dell'esistenza trasmette, erroneamente, l'idea di poter vedere relativizzato, laddove non addirittura depenalizzato, un atto lesivo condotto in uno spazio solamente digitale.
Nell'ibridazione sempre più pervasiva tra realtà fisica e realtà digitale, il cyberspazio diventa un luogo potenziale di incubazione di comportamenti lesivi della collettività, in maniera più strutturata e strutturalmente rischiosa.
Lo scorso 28 giugno le Nazioni Unite hanno presentato il report Beneath the surface: terrorist and violent use of the darkweb and cybercrime-as-a-service for cyber-attacks, elaborato dalla collaborazione tra United Nations Counter-Terrorism Centre (parte dell'Office of Counter-Terrorism) e United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute. Il documento descrive la natura fortemente ideologica di molti dei cyber-attacchi degli ultimi anni, più frequentemente mossi da credenze politiche, religiose o sociali, piuttosto che da mero opportunismo di natura economica. Gli attori minacciosi identificati sempre più spesso utilizzano gli attacchi informatici per propugnare e diffondere specifici sistemi di credenza, attaccando presunti avversari, oppositori o soggetti delegittimanti. L'analisi degli attacchi mostra con chiarezza come la convergenza di visioni anti-sistemiche, esercitate attraverso il crimine informatico (cybercrime), possa aumentare il rischio di attacchi legati al terrorismo e all'estremismo violento. Se fino a tempi recentissimi la soglia d'accesso a potenzialità di questo tipo, prevalentemente attivabili nel dark web, era mantenuta alta dalla necessità di competenze tecniche molto avanzate, il mercato dei servizi ha colto la centralità abilitante della facilità d'uso (potremmo parlare in maniera esplicita, per quanto apparentemente fuori luogo, di user-friendliness). Da una condizione iniziale di complessità quasi iniziatica dell'accesso a servizi e prodotti nel dark web, siamo oggi in condizione di rilevare l'esistenza e la rapida implementazione di un vero e proprio sistema di cybercrime-as-a-service. Questo rappresenta un cambiamento paradigmatico nel mondo della criminalità informatica, democratizzando l'accesso alle capacità avanzate di attacco informatico e favorendo una diversificazione dei contesti possibili di mercato. Accessibilità, efficacia, risparmio di tempo, disponibilità di supporto tecnico e aggiornamenti sono solo alcune delle caratteristiche che progressivamente stanno perfezionando un mercato fondato sull'evoluzione tecnologica, ma sempre più indirizzato - oserei dire nuovamente - verso una funzionalità ecosistemica di tipo ideologico. Il progressivo slittamento verso un sistema as-a-service consente a gruppi normalmente operanti in maniera isolata di alimentare nuove forme di collaborazione, con condizioni di specializzazione verticale e di potenziale universalizzazione delle competenze. La possibilità di operare nel dark web, lontano dai riflettori della conoscenza indicizzata o dell'informazione tracciabile, permette di agire nell'ombra, disinnescando meccanismi psicologici che, in molti casi, rappresentavano un elemento di resistenza nella diffusione di comportamenti lesivi collettivi.
L'accesso al dark web è diventato più semplice, grazie a software specializzati, come The Onion Router (Tor), che forniscono un livello avanzato di anonimato, attraverso connessioni peer-to-peer, utilizzando protocolli e porte d'accesso alla rete non standard. La piattaforma Tor, che utilizza una tecnica chiamata "onion routing", incapsula i dati in più livelli di crittografia, rendendo estremamente difficile per le parti non autorizzate tracciare l'origine o la destinazione di un messaggio. La riflessione biopolitica di Foucault non perde legittimità, ma trova anzi conferma nella maggiore disponibilità all'autoassoluzione, operando all'interno di un sistema anonimizzante, gestito e garantito dal funzionamento efficace di reti di servizi e dalla complicità operante di vere e proprie reti di collaborazione. Nel luglio 2024, il report The Dark Web as Enabler for Terrorist Activities, redatto da Soumya Awashti per l'Observer Research Foundation, evidenzia chiaramente come l'anonimato rappresenti al contempo un freno alle strategie di deterrenza e un accelerante per la diffusione e il potenziamento dei servizi disponibili. Il tentativo delle Nazioni Unite di sensibilizzare l'opinione pubblica e potenziare le iniziative di policy making, ad esempio con la Dehli Declaration on countering the use of new and emerging technologies for terrorist purposes del 2022, rischia però di trovare fondamenta deboli, in assenza di un'azione diffusa di alfabetizzazione sociale sul tema. Se è vero, come si usa dire nel mondo della cybersecurity, che molto spesso l'elemento più vulnerabile è la variabile umana, è altrettanto vero che quella variabile può essere, contemporaneamente, educata ad un comportamento consapevole o letteralmente hackerata e indotta ad adottare comportamenti lesivi o criminosi.
In un equilibrio scomposto, tra desiderio di visibilità e pretesa di riservatezza nello spazio digitale, il timore dell'esposizione involontaria viene compensato con nuove possibilità di anonimato (o di dissimulazione di identità). La reticolarità dell'identità digitale alimenta nuovi meccanismi di autocontrollo sociale, che hanno determinato un'evoluzione dal panoptismo gerarchico ad un panoptismo orizzontale e reticolare. Al di fuori dei meccanismi di visibilità reciproca, in una condizione possibile di vera segretezza (il dark web), i codici comportamentali rischiano di venire sovvertiti dall'eccesso di libertà percepita, o hackerati da strategie comunicative appositamente create per spazi immuni alla sorveglianza sociale. Lo abbiamo detto in apertura: tutto ciò che è codificabile - incluso il nostro modo di pensare - è manipolabile. Szymborska, con una leggerezza poetica che può apparire utopistica, lo dice chiaramente, descrivendo l'amore per le mappe che "con indulgenza e buonumore /sul tavolo mi dispiegano un mondo / che non è di questo mondo." Se il nostro modo di orientarci, anche in uno spazio digitale, dipende dalle mappe che utilizziamo, e se ogni mappa, in quanto codice, è il risultato di uno sforzo convenzionale per rappresentare un'approssimazione della realtà, forse dobbiamo ricominciare ad interrogarci su quali siano gli elementi veramente rilevanti, nella nostra geografia valoriale. Forse dobbiamo cercare di comprendere, nell'onestà della riflessione individuale e collettiva, quali siano i limiti della nostra natura e quali debbano essere, in maniera preventiva, le misure di limitazione e compensazione da adottare. La lotta al crimine digitale, in un sistema potenzialmente accelerato dalle opportunità offerte dal cybercrime-as-a-service, non può che fondarsi su un radicale ripensamento dell'educazione ad una nuova corresponsabilità sociale. Forse, in fondo, il dark web non rappresenta altro che uno spazio di amplificazione di ciò che - al di fuori dei meccanismi regolatori della visibilità reciproca - potremmo accettare di fare, concedendoci maggiore indulgenza per errori che, non visti, non sono poi così gravi come potrebbero sembrare. Pensandoci bene, negli spazi senza mappe, come possiamo sapere se ci siamo persi davvero? In maniera ancora più diretta: negli spazi senza mappe, ha poi così importanza saper scegliere la direzione giusta?
Network Identity and the Evolution of Biopolitics
"I love maps because they tell lies." The words of Wisłwawa Szymborska, Nobel Prize winner for literature in 1996, express better than any other essay the inadequacy - or the slipperiness - of the representative capacity of conventional descriptive systems. Everything that can be codified can be manipulated. Very often we run the risk of neglecting the profoundly strategic and geopolitical implications of the analysis of the cultural (and consequently socio-economic) impact of a reality translated into data, judged on the basis of data as well as directed and governed on the basis of data. In the era of the progressive dematerialization of knowledge, organized within predefined management structures, the threshold between evidence and doubt, between credibility and verifiability, between demonstrability and legitimacy is rapidly thinning. In the era of the privatization of media systems, the monetization of attention radically influences the mechanisms of attribution of the relevance of content. In an age in which vision devices are no longer used to see, but to be seen, the difference between communicative responsibility and communicative dependence easily subverts the flows of production, distribution and reception of information.
The reticularity of distributed knowledge, always based at the same time on data management infrastructures and fruition technologies, determines a radical turn in cognitive sovereignty, which transfers the possibility of accessing information and activating physical experience to the navigability of digital space. Our behavioral directions, our choices and our actions risk being the result - more or less consciously - of economic and political strategies that direct our reasoning and our desires. We are consolidating our habits on the basis of an apparently paradoxical balance between a kind of visibility society, the socialization of private space and the belief in the secrecy of our behaviors, during the navigation experience. At the same time we want to be seen - we depend on the self-sustaining need to be seen! - and we pretend to have the opportunity to hide. We slip, without realizing it, into a space of existence that feeds on projecting the recognizability of physical experience into cyberspace. If Antoine Garapon, in his La despazializzazione della giustizia (2021), highlights how digital space does not replace, but overlaps with physical space, expanding its possibilities and re-discussing its governability, Miguel Benasayag, in La Tyrannie des Algorithmes (2019) speaks of the fragility of post-democracy, in which new communities perceive the body as a resistant element, as a recalcitrant object. The proliferation of social and political theories and interpretations on the interaction between the digital world and the physical world, which often seem to be contradictory, depends on the unstable nature of technology, the innovativeness of digital geopolitics and the rapid anthropological transformation of the human being in his relationship with the technologies for automation, virtualization and cognitive enhancement. The nature of the reticular individual and his hybrid existence yield to the rules of a relational universe of modulable exposure, between choices of visibility and claims of confidentiality, between spaces of concealment and desires for interaction.
Modulating exposure means, as effectively stated by Dominique Cardon in a 2008 article (Le Design de la visibilité. Un essai de cartographie du Web 2.0), managing identity and visibility criteria in chiaroscuro, choosing what to enhance and what to admit about oneself and one's history, at the same time selecting what to conceal and what to omit. In digital space, escaping the mechanisms of searchability through search engines means, at least apparently, disappearing, like a book out of place in a library. Never before has the correspondence between untraceability and non-existence taken on such a dangerous character, in the governability of digitalized society and in the surveillance - and defensibility - of social stability. Foucault, in his Discipline and Punish (1975), spoke of the Panopticon as a spatial device of social control, theorizing the function of the conscious state of visibility induced in prisoners as the guarantee of the automatic functioning of power. Our behaviors, as individuals and as a society, depend, at least in part, on the belief or fear of being seen. Outside of contexts of conscious and shared visibility, the legitimacy of authority is more easily contested, attributing to individual freedom the right to redefine the very meaning of justice. This can apply to apparently banal actions, such as greater self-indulgence in giving in to forms of verbal violence, protected by conditions of anonymity or pseudonymity on social media. But it can also apply to the progressively increasing dangerousness induced by the belief in immunity (what is not physical does not actually happen) and by the possibility of moving in a condition of potential anonymity. The dematerialization of existence erroneously conveys the idea of being able to see a harmful act conducted in a purely digital space as relativized, if not decriminalized. In the increasingly pervasive hybridization between physical reality and digital reality, cyberspace becomes a potential place for the incubation of behaviors that are harmful to the community, in a more structured and structurally risky manner.
On June 28, the United Nations presented the report Beneath the surface: terrorist and violent use of the dark web and cybercrime-as-a-service for cyber-attacks, developed by the collaboration between the United Nations Counter-Terrorism Centre (part of the Office of Counter-Terrorism) and the United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute. The document describes the strongly ideological nature of many of the cyber-attacks of recent years, more frequently driven by political, religious or social beliefs, rather than by mere economic opportunism. The identified threat actors increasingly use cyber attacks to advocate and spread specific belief systems, attacking presumed adversaries, opponents or delegitimizing subjects. The analysis of the attacks clearly shows how the convergence of anti-systemic visions, exercised through cybercrime, can increase the risk of attacks linked to terrorism and violent extremism. If until very recently the access threshold to potentialities of this type, mainly activated on the dark web, was kept high by the need for very advanced technical skills, the services market has grasped the enabling centrality of ease of use (we could speak explicitly, although apparently out of place, of user-friendliness). From an initial condition of almost initiatory complexity of access to services and products on the dark web, we are now in a position to detect the existence and rapid implementation of a real cybercrime-as-a-service system. This represents a paradigm shift in the world of cybercrime, democratizing access to advanced cyberattack capabilities and favoring a diversification of possible market contexts. Accessibility, effectiveness, time saving, availability of technical support and updates are just some of the characteristics that are progressively perfecting a market based on technological evolution, but increasingly directed - I would dare say again - towards an ideological ecosystem functionality. The progressive shift towards an as-a-service system allows groups normally operating in isolation to fuel new forms of collaboration, with conditions of vertical specialization and potential universalization of skills. The possibility of operating on the dark web, far from the spotlight of indexed knowledge or traceable information, allows one to act in the shadows, defusing psychological mechanisms that, in many cases, represented an element of resistance in the spread of collective harmful behaviors.
Access to the dark web has become easier, thanks to specialized software, such as The Onion Router (Tor), which provides an advanced level of anonymity, through peer-to-peer connections, using non-standard protocols and network access ports. The Tor platform, which uses a technique called "onion routing", encapsulates data in multiple layers of encryption, making it extremely difficult for unauthorized parties to trace the origin or destination of a message. Foucault's biopolitical reflection does not lose legitimacy, but rather finds confirmation in the greater willingness to self-absolution, operating within an anonymizing system, managed and guaranteed by the effective functioning of service networks and the active complicity of real collaboration networks. In July 2024, the report The Dark Web as Enabler for Terrorist Activities, written by Soumya Awashti for the Observer Research Foundation, clearly highlights how anonymity represents both a brake on deterrent strategies and an accelerator for the spread and strengthening of available services. The United Nations' attempt to raise public awareness and strengthen policy-making initiatives, for example with the Delhi Declaration on countering the use of new and emerging technologies for terrorist purposes of 2022, risks finding weak foundations, in the absence of widespread social literacy action on the topic. If it is true, as is commonly said in the world of cybersecurity, that very often the most vulnerable element is the human variable, it is equally true that that variable can be, at the same time, educated to a conscious behavior or literally hacked and induced to adopt harmful or criminal behavior.
In a disordered balance between the desire for visibility and the demand for privacy in digital space, the fear of involuntary exposure is compensated with new possibilities of anonymity (or identity dissimulation). The reticularity of digital identity fuels new mechanisms of social self-control, which have determined an evolution from hierarchical panopticism to horizontal and reticular panopticism. Outside the mechanisms of mutual visibility, in a possible condition of true secrecy (the dark web), behavioral codes risk being subverted by the excess of perceived freedom, or hacked by communication strategies specifically created for spaces immune to social surveillance. We said it at the beginning: everything that can be codified - including our way of thinking - can be manipulated. Szymborska, with a poetic lightness that may appear utopian, says it clearly, describing the love for maps that "with indulgence and good humor / unfold on the table for me a world / that is not of this world." If our way of orienting ourselves, even in a digital space, depends on the maps we use, and if every map, as a code, is the result of a conventional effort to represent an approximation of reality, perhaps we need to start asking ourselves again what the truly relevant elements are in our geography of values. Perhaps we need to try to understand, in the honesty of individual and collective reflection, what the limits of our nature are and what the preventive measures of limitation and compensation should be. The fight against digital crime, in a system potentially accelerated by the opportunities offered by cybercrime-as-a-service, can only be based on a radical rethinking of education for a new social co-responsibility. Perhaps, after all, the dark web represents nothing more than a space for amplification of what - outside the regulatory mechanisms of mutual visibility - we could accept to do, allowing ourselves greater indulgence for errors that, unseen, are not as serious as they might seem. Thinking about it, in spaces without maps, how can we know if we are really lost? Even more directly: in spaces without maps, does it really matter so much to know how to choose the right direction?
Luca BARALDI