L’Iran, tra ambizioni di leadership regionali e pacifismo interno/Iran, between regional leadership ambitions and internal pacifism

05.08.2024

Farian Sabahi, ricercatrice senior dell'Università dell'Insubria, spiega cosa accade nella Repubblica islamica

Il 2024 verrà ricordato come l'anno delle elezioni: quelle a Taiwan a gennaio scorso, seguite dal voto in Russia che ha visto confermare Vladimir Putin al Cremlino, e poi l'appuntamento elettorale in Europa e quello negli Stati, che chiuderà la carrellata il prossimo novembre. Non a caso The Economist lo ha definito il biggest election year in the history. Anche per questo le tensioni internazionali sono state amplificate, alla ricerca da un lato di ridurre la conflittualità, dall'altro di ritrovare un "equilibrio mondiale". Un tentativo particolarmente difficile, specie in Medio Oriente dove, complice lo scontro tra Hamas e Israele, l'Iran è tornato sotto i riflettori. Alla guerra sul campo, infatti, se ne è affiancata anche una "mediatica", come spiega Farian Sabahi, ricercatrice senior presso l'Università dell'Insubria, profonda conoscitrice dell'Iran, scrittrice e tra i relatori della 4° edizione del Festival internazionale della Geopolitica europea, tenutosi a Mestre dal 9 all'11 maggio, presso M9-Museo del '900.

Al lancio di droni da parte di Teheran verso il territorio israeliano, ad aprile, è seguito un attacco contro una base iraniana, attribuito ad Israele anche se non rivendicato, e soprattutto minimizzato dalle autorità della Repubblica islamica. "Le autorità iraniane hanno non solo minimizzato, ma avrebbero anche fatto finta di non vedere – e quindi non hanno reso pubblico – l'attacco israeliano con i missili, uno dei quali avrebbe colpito il sistema di difesa antiaerea S-300, acquistato dai russi, mentre nulla si saprebbe degli altri due missili lanciati dallo Stato ebraico in territorio iraniano. Questo silenzio ha lasciato sottintendere la decisione della leadership iraniana di non dare eccessivo peso all'attacco israeliano per non essere obbligati a rispondere ancora. Perché, dopotutto, quella in corso è anche una guerra mediatica", spiega Sabahi.

A questo atteggiamento iniziale e mentre prosegue lo scontro sul campo tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, sono però seguiti colloqui tra Stati Uniti e Iran per evitare ulteriori attacchi. Qual è lo scopo, cosa sarebbe emerso?

"A dispetto delle apparenze e dell'idea (occidentale) che era seguita al lancio di missili verso Israele quello iraniano sembrerebbe essere un esercito debole e con armamenti antiquati, nonostante disponga di droni (forniti anche alla Russia per gli attacchi in Ucraina). Ma soprattutto, secondo gli esperti la popolazione non vorrebbe la guerra. Lo dimostrerebbero anche le richieste di esenzione dal servizio di leva, dietro pagamento. "Fino a qualche anno fa, in Iran era possibile pagare una somma in denaro (una decina di anni fa era l'equivalente di 4mila euro) per "comprare" il servizio militare ed evitare i due anni di naja. A poter pagare questa cifra erano ovviamente le famiglie benestanti. Oggi, l'esenzione è riservata agli orfani di padre, ai transgender e a pochi altri. La Repubblica islamica dell'Iran è abitata da circa 85 milioni di persone e, di queste, una qualche percentuale tuttora appoggia la leadership al potere, altrimenti non si spiegherebbe come resti in piedi. Per il resto, resta vivida la memoria della guerra scatenata dal dittatore iracheno Saddam Hussein nel 1980, guerra durata fino al 1988 e costata la vita a un milione di iraniani. Di questi tempi, le guerre non si combattono con i soldati – spiega ancora Sabahi - Nel caso dell'Iran, gli unici soldati operativi in questi anni sono le brigate al-Qods dei pasdaran e le milizie di rifugiati afgani arruolati da Teheran in cambio di un salario mensile equivalente a 500 euro (laddove lo stipendio medio in Iran è di soli 150 euro) e della promessa della cittadinanza iraniana".

Sabahi è anche scrittrice, autrice tra gli altri del libro Noi, donne di Teheran. Da tempo i riflettori sono puntati sulla crisi mediorientale, ma paradossalmente sembra che la comunità internazionale si sia dimenticata proprio delle donne, che sfidano le autorità senza velo o indossando in modo non consono alle leggi. "Negli ultimi mesi, le proteste di piazza hanno lasciato il posto alla disobbedienza civile, nel senso che tante donne – di ogni età e ceto sociale – hanno il coraggio di uscire di casa senza coprire i capelli. Purtroppo, la guerra in corso rappresenta una opportunità per un ulteriore giro di vite nei confronti dei dissidenti e, in particolare, delle donne e delle minoranze religiose ed etniche. Soprattutto della minoranza etnica dei baluci che vivono nell'Iran sudorientale e rappresentano il 30 percento dei condannati a morte nel 2023".

Sono diversi, però, i movimenti di attivisti e attiviste civili che chiedono maggiore attenzione e interventi a sostegno della libertà e della democrazia in Iran. Com'è la situazione? 

"Non si può generalizzare, in un Paese grande cinque e volte e mezza l'Italia con 85 milioni di abitanti, di cui tre quarti vivono in un contesto urbano. Di certo, le iraniane subiscono una serie di discriminazioni dal punto di vista legale e da parte di una società patriarcale, ma hanno il diritto di voto dal 1963 e rappresentano la maggioranza delle matricole universitarie e dei laureati. Una situazione ben diversa dalle afgane, a cui i Talebani impediscono alle bambine sopra ai dodici anni di frequentare le scuole. E, ovviamente, non c'è confronto con la situazione delle iraniane rispetto alle palestinesi e alle yemenite, le cui vite sono state stravolte dalla guerra, dalla fame e dalla mancanza di assistenza sanitaria".

Finora la comunità internazionale e in particolare quella occidentale hanno fatto ricorso soprattutto alle sanzioni contro Teheran, senza ottenere un vero risultati tangibili concreti: "Con il senno di poi, non bisognava permettere al presidente statunitense Donald Trump di mandare a monte il JCPOA, ovvero l'accordo nucleare firmato a Vienna dai 5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania) nel luglio 2015. Può sembrarle strano, ma credo fermamente che soltanto il dialogo possa portare a risultati concreti, e infatti è quello che stanno facendo Pechino e Paesi come il Qatar e l'Oman. Le sanzioni non hanno piegato il regime, ma colpito principalmente la popolazione e permesso ai pasdaran di arricchirsi ulteriormente grazie al controllo dei confini e – di conseguenza – al contrabbando. Tra l'altro, le sanzioni all'Iran hanno messo in difficoltà anche tante imprese italiane, che con Teheran facevano affari", conclude Farian Sabahi.


Iran, between regional leadership ambitions and internal pacifism

Farian Sabahi, senior researcher at the University of Insubria, explains what is happening in the Islamic Republic

2024 will be remembered as the year of elections: those in Taiwan last January, followed by the vote in Russia which saw Vladimir Putin confirmed in the Kremlin, and then the electoral appointment in Europe and the one in the States, which will close the roundup on next November. It is no coincidence that The Economist called it the biggest election year in history. This is also why international tensions have been amplified, in the search on the one hand to reduce conflict and on the other to find a "world balance". A particularly difficult attempt, especially in the Middle East where, thanks to the clash between Hamas and Israel, Iran is back in the spotlight. In fact, the war on the field has also been accompanied by a "media" one, as explained by Farian Sabahi, senior researcher at the University of Insubria, in-depth knowledge of Iran, writer and among the speakers of the 4th edition of the International Festival of European Geopolitics, held in Mestre from 9 to 11 May, at M9-Museo del '900.

Tehran's launch of drones towards Israeli territory in April was followed by an attack against an Iranian base, attributed to Israel although not claimed, and above all minimized by the authorities of the Islamic Republic. "The Iranian authorities not only downplayed, but also apparently pretended not to see – and therefore did not make public – the Israeli missile attack, one of which would have hit the S-300 anti-aircraft defense system, purchased from the Russians , while nothing would be known about the other two missiles launched by the Jewish State in Iranian territory. This silence implied the Iranian leadership's decision not to give excessive weight to the Israeli attack so as not to be forced to respond again. Because, after all, what is underway is also a media war," explains Sabahi.

This initial attitude and while the conflict on the ground between Israel and Hamas in the Gaza Strip continues, however, talks were followed between the United States and Iran to avoid further attacks. What is the purpose, what would emerge?

Despite appearances and the (Western) idea that followed the launch of missiles towards Israel, the Iranian army would appear to be a weak army with antiquated weapons, despite having drones (also supplied to Russia for the attacks in Ukraine). But above all, according to experts, the population does not want war. This is also demonstrated by the requests for exemption from military service, upon payment. "Until a few years ago, in Iran it was possible to pay a sum of money (about ten years ago it was the equivalent of 4 thousand euros) to "buy" military service and avoid the two years of military service. The ones who were able to pay this amount were obviously wealthy families. Today, the exemption is reserved for fatherless children, transgender people and a few others. The Islamic Republic of Iran is inhabited by approximately 85 million people and, of these, some percentage still supports the leadership in power, otherwise it would be impossible to explain how it remains standing. For the rest, the memory of the war unleashed by the Iraqi dictator Saddam Hussein in 1980, a war that lasted until 1988 and cost the lives of a million Iranians, remains vivid. These days, wars are not fought with soldiers - explains Sabahi - In the case of Iran, the only soldiers operational in recent years are the al-Qods brigades of the Pasdaran and the militias of Afghan refugees enlisted by Tehran in exchange for a monthly salary equivalent to 500 euros (whereas the average salary in Iran is only 150 euros) and the promise of Iranian citizenship".

Sabahi is also a writer, author among others of the book We, women of Tehran. The spotlight has been on the Middle Eastern crisis for some time, but paradoxically it seems that the international community has forgotten about women, who challenge the authorities without veils or by wearing clothes that do not comply with the law. "In recent months, street protests have given way to civil disobedience, in the sense that many women – of all ages and social classes – have the courage to leave the house without covering their hair. Unfortunately, the ongoing war represents an opportunity for a further crackdown on dissidents and, in particular, women and religious and ethnic minorities. Especially from the Baloch ethnic minority who live in south-eastern Iran and represent 30 percent of those sentenced to death in 2023."

However, there are different movements of civil activists who ask for greater attention and interventions to support freedom and democracy in Iran. How is the situation? "It cannot be generalised, in a country five and a half times the size of Italy with 85 million inhabitants, three-quarters of whom live in an urban context. Certainly, Iranian women suffer a series of discrimination from a legal point of view and from a patriarchal society, but they have had the right to vote since 1963 and represent the majority of university freshmen and graduates. A very different situation from Afghanistan, where the Taliban prevent girls over the age of twelve from attending school. And, obviously, there is no comparison with the situation of Iranians compared to Palestinians and Yemenis, whose lives have been turned upside down by war, hunger and the lack of healthcare."

So far the international community and in particular the Western one have mainly resorted to sanctions against Tehran, without obtaining any real tangible results: "With hindsight, US President Donald Trump should not have been allowed to ruin the JCPOA, or rather the nuclear agreement signed in Vienna by the 5+1 (the five permanent members of the United Nations Security Council plus Germany) in July 2015. It may seem strange to you, but I firmly believe that only dialogue can lead to concrete results, and in fact it is what Beijing and countries like Qatar and Oman are doing. The sanctions did not bend the regime, but mainly affected the population and allowed the Pasdaran to further enrich themselves thanks to border control and - consequently - smuggling. Among other things, the sanctions on Iran have also put many Italian companies in difficulty, which did business with Tehran", concludes Farian Sabahi.

Eleonora LORUSSO