NATO 75, l’opinione di Stephen Walt
Mentre a Washington è in corso il vertice per i 75 anni dell'Alleanza Atlantica, nata nel 1949 proprio a Washington con l'omonimo trattato, gli studiosi di relazioni internazionali si interrogano sullo stato di salute di questa alleanza e sul futuro delle relazioni euro-americane, al di là dei proclami altisonanti della politica.
Di particolare interesse l'editoriale di Stephen Walt, celebre politologo di Harvard di scuola realista, uscito su Foreign Policy, l'8 luglio scorso.
Walt sostiene che vi siano numerose ombre sul futuro dell'Alleanza: la possibile rielezione di Donald Trump, l'ascesa del Rassemblement National in Francia, primo partito in termini assoluti nonostante la sconfitta alle elezioni legislative, la "scheggia impazzita" Orban, ma soprattutto le divisioni profonde tra Europa e America su temi come il conflitto tra Israele e Hamas, il rapporto con la Cina, la regolamentazione delle tecnologie digitali e il sostegno all'Ucraina. Qualcuno potrebbe dire che in realtà le frizioni tra le due sponde dell'Atlantico ci sono sempre state, anche durante la Guerra Fredda, quando il nemico comune era molto più facile da identificare, e che gli Stati Uniti si sono sempre lamentati del free riding europeo sulla difesa e la sicurezza. Inoltre, sottolinea Walt, le istituzioni tendono ad essere molto longeve e a sopravvivere al mutamento delle circostanze storiche nelle quali nascono. Motivo per il quale, ad esempio, Francia e Gran Bretagna sono ancora membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Il supporto verso la NATO resta molto forte fra le classi dirigenti europee e in quella americana, perciò verosimilmente non ci sarà nessuna fine dell'Alleanza Atlantica, al contrario di quanto hanno previsto molti commentatori.
Tuttavia, la vera differenza rispetto al passato è la distribuzione del potere a livello planetario: la NATO è stata creata nel 1949, quando l'Europa si stava riprendendo dalla guerra e l'Unione Sovietica rappresentava una minaccia che gli europei, da soli, non sarebbero stati in grado di affrontare. L'Europa era il principale centro industriale del mondo dopo l'America, perciò la ripresa europea era di vitale importanza per gli Stati Uniti.
Oggi l'Asia ha acquisito un peso economico e commerciale maggiore rispetto all'Europa (54% del PIL globale contro il 17%) e in Asia si trova l'unico vero rivale mondiale degli Stati Uniti, la Cina di Xi Jinping. La Russia, nonostante l'aggressività dimostrata in Ucraina, non rappresenta una minaccia paragonabile all'Unione Sovietica e si trova in una posizione di subalternità rispetto alla Cina.
L'Asia-Pacifico, dunque, occupa il primo posto nell'agenda della politica estera americana, mentre l'Europa, per quanto rilevante, ha perso questo primato. Gli europei non possono fare molto per influenzare l'equilibrio di potenza nell'Asia Pacifico, perciò in questa partita gli Stati Uniti sono costretti a giocare da soli, o appoggiandosi ad altri alleati come Giappone, Corea del Sud e Australia.
Infine, secondo Walt la NATO rischia di indebolirsi perché sta venendo progressivamente meno il legame tra Europa e America: la percentuale di americani di origine europea sta diminuendo, e con essa l'interesse per il Vecchio Continente, eventi come la Seconda Guerra Mondiale, la Guerra Fredda e la caduta del Muro di Berlino sono ormai storia antica per le nuove generazioni cresciute negli anni della guerra al terrorismo, della crisi economica e della pandemia, che considerano il cambiamento climatico una minaccia più grande delle guerre. Non soprende, infatti, che le giovani generazioni credano meno nell'eccezionalismo americano e siano meno propense a supportare una politica militare interventista. Tutti segnali che non porteranno certo ad una dissoluzione immediata dell'Alleanza Atlantica, ma sicuramente preoccupano in vista del futuro.
EE