Somalia: l'avamposto turco nell'Oceano Indiano/

03.12.2024

Luca MOZZI - Gli equilibrismi turchi non si limitano all'Eurasia. A testimonianza di ciò vi è l'accordo di difesa firmato tra Turchia e Somalia l'otto febbraio scorso, che arriva in un momento di grande tensione ed interessamento per la regione del golfo di Aden. L'accordo ha per oggetto il consolidamento della cooperazione militare turco-somala, tramite l'addestramento di personale militare somalo da parte di unità turche, il rifornimento di armi turche all'esercito somalo e lo sviluppo di una marina somala, attualmente inesistente. La componente della marittimità si è rivelata essenziale nell'accordo, che sancisce inoltre l'impegno di Ankara nel pattugliare le coste somale, le più estese del continente africano, tramite il proprio naviglio militare, in cambio del 30% dei proventi dello sfruttamento della Zona economica esclusiva somala. Nel suo lento affrancamento dallo stigma di 'Stato fallito', la Repubblica Federale di Somalia non è tutt'ora in grado di esercitare il controllo nella totalità del suo territorio, che conta infatti due stati federati, il Somaliland e il Puntland, autoproclamatisi indipendenti ed un'insurrezione islamista del gruppo terroristico Al-Shabaab nel centro-sud del Paese. Mettere in sicurezza il proprio mare, contrastando operazioni criminose come pirateria, pesca illegale e scarico di rifiuti tossici potrebbe essere il punto di partenza per il riscatto della Somalia.

L'accordo con Mogadiscio non viene tuttavia dal nulla, bensì è il coronamento di una crescente politica di avvicinamento tra Turchia e Somalia che ha inizio tredici anni fa, quando il Paese africano ha iniziato ad uscire dalla pluridecennale guerra civile. La Turchia è stata infatti uno dei primi attori internazionali a riprendere i contatti con lo Stato somalo, fornendo ingenti aiuti umanitari e investendo fortemente nell'economia e nelle infrastrutture del Paese. Così, il primo aereo internazionale ad atterrare all'aeroporto di Mogadiscio, che per oltre 20 anni era stato inservibile per via del conflitto, fu proprio un velivolo di Turkish Airlines, nel 2012. Allo stesso modo, un anno dopo, fu rinnovato e ammodernato un nosocomio a Mogadiscio, che è presto divenuto il più efficiente del Paese ed è stato ribattezzato 'Ospedale Erdogan'. Camuffata da operazione umanitaria e di cooperazione internazionale, la penetrazione turca in Somalia assume presto un'articolazione ben più complessa. L'insegnamento della lingua turca, ad esempio, è divenuto così sempre più popolare nella formazione degli studenti somali, i più brillanti dei quali ambiscono all'ottenimento di borse di studio per studiare in Turchia. Da notare come la controparte somala a siglare il sopracitato accordo fosse Abdulkadir Mohamed Nur, attuale ministro della difesa , che proprio grazie ad una borsa di studio governativa, ha studiato e vissuto otto anni in Anatolia, che definisce la sua "seconda casa". 

Uno dei passi più significativi dello sviluppo dell'influenza turca in Somalia è stata la creazione nel 2017 del 'TURKSOM', un centro di formazione per ufficiali e per soldati semplici dell'esercito somalo situato a Mogadiscio e gestito da personale militare turco. Nel centro di addestramento, per il quale la Turchia ha investito circa 50 milioni di dollari, sono già stati formati 5000 militari somali, molti dei quali in grado di comunicare in turco. Alcuni reparti addestrati presso il TURKSOM ricevono inoltre una parte della formazione in Turchia; è il caso, tra gli altri, dei battaglioni antiterrorismo 'Gorgor' (acquila) impiegati nel contrastare l'insurrezione islamista del gruppo Al-Shabaab.

Tramite l'accordo con la Somalia, Erdogan riesce così a stabilirsi saldamente all'imbocco del mar Rosso, potendo contare su un esercito, una nascente marina e probabilmente nel prossimo futuro anche un'aviazione filoturca. La zona del Corno d'Africa è uno dei luoghi più strategici del continente: controllarla significa poter gestire il traffico di merci ed energia che passa per il canale di Suez, tappa imprescindibile delle rotte commerciali dell'Indopacifico. Nonostante, grazie all'accordo di difesa, la Turchia si sia dimostrata l'attore di punta nella regione, Ankara non è sola in quest'area, che ha visto negli ultimi anni un crescente interessamento da parte delle nazioni vicine, soprattutto Emirati Arabi Uniti ed Etiopia.

Quest'ultima, che a seguito dell'indipendenza dell'Eritrea del 1993 si è vista privata di uno sbocco marittimo, ha siglato nel gennaio di quest'anno un Memorandum of Understanding (MoU) con il Somaliland, al quale ha promesso il riconoscimento internazionale in cambio dell'utilizzo del porto di Berbera, il più importante del Somaliland. Tale accordo, che sembrerebbe addirittura cedere all'Etiopia una concessione di 19 chilometri di lunghezza attorno alla città di Berbera, ha inevitabilmente provocato una contestazione da parte della Somalia, che, come il resto della comunità internazionale, considera il Somaliland parte del suo territorio.

Gli Emirati, invece, hanno iniziato ad interessarsi alla zona dall'inizio del decennio scorso e si sono dimostrati decisamente machiavellici, rifornendo ed addestrando l'esercito somalo ma stabilendo allo stesso tempo legami militari ed economici anche con il Puntland ed il Somaliland, dove gestiscono proprio il porto di Berbera. Gli Emirati hanno inoltre scommesso sull'accordo tra Etiopia e Somaliland, investendo nelle infrastrutture di collegamento tra Berbera e Adis Abeba. A seguito dell'accordo di difesa turco-somalo, gli emiratini, notoriamente in competizione geopolitica con Ankara, ridimensioneranno probabilmente il proprio legame con l'esercito somalo, favorendo investimenti verso Puntland e Somaliland, da usare in chiave anti-turca.

Etiopia ed Emirati Arabi Uniti sono solo due dei numerosi attori presenti nella regione del Corno d'Africa, ai quali si possono annoverare i celeberrimi Houthi (Iran) e i vari Stati, europei e non (si veda Cina e Giappone), che dispongono di basi militari in Gibuti; quindi affacciate sullo stretto di Bab el-Mandeb. E' invece necessario sottolineare la storica vicinanza tra Somalia e Stati Uniti, che furono tra i primi attori internazionali ad intervenire nel Paese, pur con pochi risultati, durante la guerra civile degli anni '90. Nonostante l'esito fallimentare dell'intervento americano, i due paesi hanno mantenuto un legame politico, economico e militare. A testimonianza di ciò vi è la decisione della Casa bianca del maggio 2022 nell'inviare 500 militari americani a sostegno del governo federale nella lotta contro Al-Shabaab. Tuttavia, gli USA non possono permettersi un impegno duraturo nel Paese che, nel momento del bisogno, volge lo sguardo ad Ankara, alleato sui generis di Washington. Questo sodalizio potrebbe rivelarsi assai scomodo per gli Stati Uniti che dispongono di numerosi assetti in Somalia, tra i quali spiccano la concessione ad alcune compagnie americane di sette aree di esplorazione petrolifera a largo delle coste somale, che rientrerebbero dunque de facto sotto la giurisdizione della marina turca.

Probabilmente, è stato proprio il MoU tra Etiopia e Somaliland ad accelerare la necessità somala di una protezione esterna, unico rimedio per evitare la frammentazione del Paese. Gli aiuti umanitari, gli investimenti economici e la formazione di alto livello del personale militare, unita all'impegno diplomatico di Ankara, che a Mogadiscio ha costruito la sua più grande ambasciata d'Africa, hanno convinto l'establishment somalo della serietà dell'impegno turco. Tanto da affidargli a tempo indeterminato la sicurezza delle proprie coste: interessante bottino geopolitico per Ankara, che si pensa sempre di più una potenza marittima. 

SOMALIA: THE TURKISH OUTPOST IN THE INDIAN OCEAN

Turkish balancing acts are not limited to Eurasia. Evidence of this is the defense agreement signed between Turkey and Somalia on February 8, which comes at a time of great tension and interest in the Gulf of Aden region. The agreement aims to consolidate Turkish-Somali military cooperation, through the training of Somali military personnel by Turkish units, the supply of Turkish weapons to the Somali army and the development of a Somali navy, currently non-existent. The maritime component has proven essential in the agreement, which also establishes Ankara's commitment to patrolling the Somali coasts, the largest on the African continent, through its own military vessels, in exchange for 30% of the proceeds from the exploitation of the Somali Exclusive Economic Zone. In its slow emancipation from the stigma of a 'failed state', the Federal Republic of Somalia is still unable to exercise control over its entire territory, which in fact includes two federated states, Somaliland and Puntland, self-proclaimed independent, and an Islamist insurgency of the terrorist group Al-Shabaab in the center-south of the country. Securing its sea, countering criminal operations such as piracy, illegal fishing and dumping of toxic waste could be the starting point for the redemption of Somalia.

The agreement with Mogadishu does not come from nowhere, however, but is the culmination of a growing policy of rapprochement between Turkey and Somalia that began thirteen years ago, when the African country began to emerge from the decades-long civil war. Turkey was in fact one of the first international players to resume contact with the Somali state, providing significant humanitarian aid and investing heavily in the country's economy and infrastructure. Thus, the first international plane to land at Mogadishu airport, which had been unusable for over 20 years due to the conflict, was a Turkish Airlines aircraft, in 2012. Similarly, a year later, a hospital in Mogadishu was renovated and modernized, which soon became the most efficient in the country and was renamed 'Erdogan Hospital'. Disguised as a humanitarian and international cooperation operation, Turkish penetration in Somalia soon took on a much more complex structure. The teaching of the Turkish language, for example, has become increasingly popular in the education of Somali students, the brightest of whom aspire to obtain scholarships to study in Turkey. It is worth noting that the Somali counterpart to sign the aforementioned agreement was Abdulkadir Mohamed Nur, the current Minister of Defense, who, thanks to a government scholarship, studied and lived for eight years in Anatolia, which he calls his "second home".

One of the most significant steps in the development of Turkish influence in Somalia was the creation in 2017 of the 'TURKSOM', a training center for officers and privates of the Somali army located in Mogadishu and managed by Turkish military personnel. In the training center, for which Turkey has invested around 50 million dollars, 5,000 Somali soldiers have already been trained, many of whom are able to communicate in Turkish. Some units trained at the TURKSOM also receive part of their training in Turkey; this is the case, among others, of the 'Gorgor' (eagle) anti-terrorism battalions employed in countering the Islamist insurgency of the Al-Shabaab group. Through the agreement with Somalia, Erdogan is thus able to firmly establish himself at the mouth of the Red Sea, being able to count on an army, a nascent navy and probably in the near future also a pro-Turkish air force. The Horn of Africa area is one of the most strategic places on the continent: controlling it means being able to manage the traffic of goods and energy that passes through the Suez Canal, an essential stop on the Indo-Pacific trade routes. Although, thanks to the defense agreement, Turkey has proven to be the leading player in the region, Ankara is not alone in this area, which in recent years has seen growing interest from neighboring nations, especially the United Arab Emirates and Ethiopia. The latter, which following Eritrea's independence in 1993 saw itself deprived of a maritime outlet, signed a Memorandum of Understanding (MoU) with Somaliland in January of this year, to which it promised international recognition in exchange for the use of the port of Berbera, the most important in Somaliland. This agreement, which would even seem to grant Ethiopia a 19-kilometer-long concession around the city of Berbera, has inevitably provoked a protest from Somalia, which, like the rest of the international community, considers Somaliland part of its territory. The Emirates, on the other hand, began to take an interest in the area at the beginning of the last decade and have proven to be decidedly Machiavellian, supplying and training the Somali army but at the same time establishing military and economic ties with Puntland and Somaliland, where they manage the port of Berbera. The Emirates have also bet on the agreement between Ethiopia and Somaliland, investing in the infrastructure connecting Berbera and Addis Ababa. Following the Turkish-Somali defense agreement, the Emirates, notoriously in geopolitical competition with Ankara, will probably reduce their ties with the Somali army, favoring investments in Puntland and Somaliland, to be used in an anti-Turkish key.

Ethiopia and the United Arab Emirates are just two of the many actors present in the Horn of Africa region, which include the very famous Houthis (Iran) and the various states, European and non-European (see China and Japan), which have military bases in Djibouti; therefore overlooking the Strait of Bab el-Mandeb. It is instead necessary to underline the historical closeness between Somalia and the United States, which were among the first international actors to intervene in the country, albeit with few results, during the civil war of the 1990s. Despite the failed outcome of the American intervention, the two countries have maintained a political, economic and military bond. Evidence of this is the White House's decision in May 2022 to send 500 American soldiers to support the federal government in the fight against Al-Shabaab. However, the USA cannot afford a lasting commitment in the country which, in times of need, turns its gaze to Ankara, Washington's sui generis ally. This partnership could prove very uncomfortable for the United States, which has numerous assets in Somalia, including the concession to some American companies of seven oil exploration areas off the coast of Somalia, which would therefore fall de facto under the jurisdiction of the Turkish navy.

Probably, it was the MoU between Ethiopia and Somaliland that accelerated Somalia's need for external protection, the only remedy to avoid the fragmentation of the country. Humanitarian aid, economic investments and high-level training of military personnel, combined with the diplomatic commitment of Ankara, which has built its largest embassy in Africa in Mogadishu, have convinced the Somali establishment of the seriousness of Turkey's commitment. So much so that it has entrusted it with the security of its coasts for an indefinite period: interesting geopolitical booty for Ankara, which increasingly sees itself as a maritime power.

Luca MOZZI