Un guerra da non dimenticare: il conflitto in Sudan/A war not to forget: the conflict in Sudan

14.12.2024

Sono passati due anni e mezzo dall'inizio della guerra in Ucraina e più di un anno dal 7 ottobre di Hamas, ma un'altra guerra colpisce milioni di persone, senza che, per quanto necessario, se ne parli. Nel Sudan la guerra civile continua dal 15 aprile 2023, le persone sfollate sono in numero sempre maggiore e la fame dilaga ovunque. Per aiutare la popolazione civile mancano principalmente le risorse economiche: le Nazioni Unite hanno stanziato solo 874 milioni dei 2.7 miliardi necessari per raggiungere risultati concreti. Gli aiuti vengono spesso bloccati dalle forze militari del territorio e le condizioni nei campi profughi sono in uno stato degradante.

Le premesse del conflitto le abbiamo davanti da fine dicembre 2018, quando scoppiarono in tutto il paese dei moti di protesta contro il regime militare di Omar Al-Bashir, l'allora Presidente salito nell'89 con un golpe militare. Quell'ennesimo colpo di Stato in Sudan venne attuato delle due principali forze militari del Paese: le Rapid Support Forces (RSF), forze paramilitari conosciute per la loro brutalità, guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemedti, e le Forze Armate Sudanesi (SAF), l'esercito vero e proprio, comandato da Abdel Fattah al-Burhan.

Con il cambio di leadership, l'oggetto delle proteste si focalizzò verso queste due nuove figure, difatti il disappunto generale non vide che un incremento generato dalle loro azioni e colpe nel conflitto del Darfur di pochi anni prima, dove, già da allora, ricoprivano ruoli di comando. Vedendo l'impossibilità di una risoluzione pacifica di questi moti (data anche la promessa non mantenuta di democrazia e libere elezioni), soggetti esterni, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l'Unione Africana, si inserirono per cercare un dialogo tra le fazioni armate e i manifestanti. Si arrivò quindi ad un accordo per l'istituzione di un Consiglio di Transizione, composto dai rappresentanti di entrambi gli schieramenti, i quali avrebbero dovuto collaborare per cercare una risoluzione pacifica del conflitto. Venne pattuito che per i primi 21 mesi dall'accordo, sarebbero state le forze militari ad avere il controllo, mentre per i 18 successivi, i civili, implicando una concessione del potere pacifica tra le due parti. Nonostante gli avvertimenti da parte del popolo sudanese, a presiedere questo consiglio, in quanto uomini più potenti del paese in quel momento, non vi erano altri che il leader delle SAF , al-Burhan, e come suo vice, il leader delle RSF , Hemedti.

Inizialmente, il consiglio lavorò secondo gli accordi prestabiliti, nominando il Primo Ministro Abdalla Hamdock. Egli rimase in carica per più di 2 anni, ma dopo un ulteriore tentativo di colpo di Stato, decise di dimettersi all'inizio del 2022, sostenendo come il Sudan "sta attraversando una punto pericoloso che potrebbe mettere a rischio la sua sopravvivenza" e che una discussione tra tutte le parti in causa sia necessaria per trovare al più presto un accordo.

Di seguito alle sue dimissioni, venne posto al-Burhan, già al vertice del Consiglio di Transizione, a capo dello stato, con Hemedti che gli fungeva da vice. Dopo ulteriori proteste da parte della popolazione, si arrivò ad un nuovo accordo tra il Consiglio e la parte civile, con la promessa di un passaggio del potere al popolo stesso per aprile 2023. Vi era però annessa una clausolafondamentale: le RSF sarebbero dovute essere inglobate all'interno delle SAF, diminuendo drasticamente il potere di Hemedti. Al-Burhan chiedeva che l'unificazione delle forze avvenisse nell'arco di 2 anni, mentre il leader delle RSF ne chiedeva 10. Da questa discordanza nacque una guerra civile, che ancora oggi tempesta il paese.

Tornando ad oggi, dopo più di un anno dall'inizio del conflitto, si parla della più grave crisi di sfollati al mondo e rappresenta probabilmente anche la peggiore dal punto di vista alimentare, come lo era già stato precedentemente il conflitto nel Darfur di 4 anni fa. Si stima che fino a 14 milioni di bambini siano in condizioni di vita pessime e con bisogno di assistenza sanitaria immediata. Secondo il World Food Program (WFP), solo 1 persona su 20 si può permettere un pasto intero; viene riportato nel comunicato stampa delle Nazioni Unite del 6 agosto, dalla Direttrice delle Operazioni, Edem Wosornu, che 26 milioni di persone si trovano ora in uno stato di insicurezza alimentare o di fame.

Secondo l'UNHCR, decine di migliaia di persone, di cui anche civili, sono morti dall'inizio del conflitto e 10.2 milioni sono stati costretti ad abbandonare le loro case. L'Organizzazione Mondiale per la Sanità riporta casi di colera tra la popolazione; il sistema sanitario del paese è in uno stato di abbandono e per il 25% completamente non funzionante. Le persone non riescono a raggiungere in tempo gli ospedali e i centri di assistenza sanitaria, morendo prima; le donne malate o ferite preferiscono rischiare la morte e rimanere "al sicuro", anziché rischiare di essere rapite e violentate nel tentativo di raggiungere i soccorsi. Uno dei problemi principali è che gli aiuti fanno fatica ad arrivare a destinazione: nel giro di un mese, nel nord del Darfur, 3 camion con un carico di aiuti umanitari non sono riusciti a raggiungere i campi per il rifugio degli sfollati, perché bloccati prima dalle RSF .

I delegati di molti Paesi, come Cina, Stati Uniti, Russia, Giappone e Francia, condannano gli eventi che stanno accadendo e le forze fautrici, ma nel frattempo la guerra continua, le persone muoiono nei conflitti, donne e ragazze vengono violentate e bambini muoiono di fame. Le RSF e le SAF si accusano a vicenda, dandosi reciprocamente la colpa per la devastazione del territorio, le vittime del conflitto, gli sfollati e lo stato in cui versano i sistemi pubblici. Quello in Sudan è un conflitto incivile e umiliante per la comunità internazionale: milioni di vite sono in pericolo ogni giorno e a migliaia muoiono quotidianamente. La lontananza geografica e culturale del paese fa pervenire poche informazioni riguardo lo stato di cose, se paragonate a quelle di cui disponiamo quotidianamente sull'Ucraina e la Palestina. Non solo è poco fruttuoso, ma conduce a un vicolo cieco, il categorizzazione tale conflitto alla stregua di un affare distante e ricevente una risicata attenzione pubblica. Proprio in questi contesti, più che in qualunque altro luogo dove le telecamere e le informazioni hanno una più agevole via, è maggiormente doveroso applicare i principi della comunità internazionale, quali pace e rispetto dei diritti umani.

Link:

https://news.un.org/en/story/2024/03/1147287

https://press.un.org/en/2024/sc15784.doc.htm

https://www.france24.com/en/live-news/20220102-sudan-pm-hamdok-announces-resignation-in-a-tv-speech

https://www.aljazeera.com/program/inside-story/2024/10/10/what-are-the-prospects-for-peace-in-sudan

A war not to forget: the conflict in Sudan

Two and a half years have passed since the start of the war in Ukraine and more than a year since Hamas's October 7, but another war is affecting millions of people, without, however necessary, being talked about. In Sudan, the civil war has been going on since April 15, 2023, the number of displaced people is ever-increasing and hunger is spreading everywhere. The main thing that is lacking to help the civil population is economic resources: the United Nations has allocated only 874 million of the 2.7 billion needed to achieve concrete results. Aid is often blocked by the military forces of the territory and the conditions in the refugee camps are in a degrading state.

The premises of the conflict have been before us since the end of December 2018, when protests broke out across the country against the military regime of Omar Al-Bashir, the then President who came to power in 1989 with a military coup. That latest coup in Sudan was carried out by the two main military forces of the country: the Rapid Support Forces (RSF), paramilitary forces known for their brutality, led by Mohamed Hamdan Dagalo, known as Hemedti, and the Sudan Armed Forces (SAF), the real army, commanded by Abdel Fattah al-Burhan.

With the change of leadership, the object of the protests focused on these two new figures, in fact the general disappointment saw only an increase generated by their actions and guilt in the Darfur conflict of a few years earlier, where, since then, they had held leadership roles. Seeing the impossibility of a peaceful resolution to these uprisings (also given the unfulfilled promise of democracy and free elections), external subjects, such as the United States, Great Britain and the African Union, intervened to seek dialogue between the armed factions and the demonstrators.

An agreement was then reached to establish a Transitional Council, composed of representatives from both sides, who would work together to seek a peaceful resolution to the conflict. It was agreed that for the first 21 months of the agreement, the military would be in control, while for the next 18 months, civilians would be in control, implying a peaceful concession of power between the two sides.

Despite warnings from the Sudanese people, the council was chaired, as the most powerful men in the country at the time, by none other than the leader of the SAF, al-Burhan, and his deputy, the leader of the RSF, Hemedti. Initially, the council worked according to the pre-established agreements, appointing the Prime Minister Abdalla Hamdock. He remained in office for more than 2 years, but after a further coup attempt, he decided to resign in early 2022, arguing that Sudan "is going through a dangerous point that could put its survival at risk" and that a discussion between all parties involved is necessary to find an agreement as soon as possible. Following his resignation, al-Burhan, already at the head of the Transitional Council, was appointed head of state, with Hemedti acting as his deputy. After further protests from the population, a new agreement was reached between the Council and the civilian party, with the promise of a transfer of power to the people themselves by April 2023. However, there was a crucial clause attached to it: the RSF would have to be incorporated into the SAF, drastically reducing Hemedti's power. Al-Burhan asked for the unification of forces to take place over 2 years, while the RSF leader asked for 10. From this disagreement a civil war was born, which still torments the country today. Coming back to today, more than a year after the start of the conflict, we are talking about the most serious crisis of displacement in the world and it is probably also the worst from a food point of view, as was previously the conflict in Darfur 4 years ago. It is estimated that up to 14 million children are in terrible living conditions and in need of immediate health care. According to the World Food Program (WFP), only 1 in 20 people can afford a full meal; it is reported in the United Nations press release of August 6, by the Director of Operations, Edem Wosornu, that 26 million people are now in a state of food insecurity or hunger. According to the UNHCR, tens of thousands of people, including civilians, have died since the start of the conflict and 10.2 million have been forced to abandon their homes. The World Health Organization reports cases of cholera among the population; the country's health system is in a state of neglect and 25% completely non-functional.

People are unable to reach hospitals and health care centers in time, dying first; sick or injured women prefer to risk death and remain "safe", rather than risk being kidnapped and raped while trying to reach help. One of the main problems is that aid is having trouble getting to its destination: in the space of a month, in northern Darfur, 3 trucks loaded with humanitarian aid failed to reach the refugee camps for displaced people, because they were blocked first by the RSF. Delegates from many countries, such as China, the United States, Russia, Japan and France, condemn the events that are happening and the forces behind them, but in the meantime the war continues, people are dying in conflicts, women and girls are being raped and children are dying of hunger.

The RSF and SAF accuse each other, blaming each other for the devastation of the territory, the victims of the conflict, the displaced people and the state of public systems. The conflict in Sudan is uncivilized and humiliating for the international community: millions of lives are in danger every day and thousands die every day. The geographical and cultural remoteness of the country provides little information about the state of affairs, if compared to what we have daily on Ukraine and Palestine. Not only is it not very fruitful, but it leads to a dead end, categorizing this conflict as a distant affair and receiving little public attention. Precisely in these contexts, more than in any other place where cameras and information have an easier path, it is more dutiful to apply the principles of the international community, such as peace and respect for human rights.

Elena Sofia BRANDI, di Sconfinare