Verso un nuovo Sudafrica?/Towards a new South Africa?

24.07.2024

Elio MENZIONE - In un anno denso di consultazioni elettorali, meritano un'attenzione particolare le elezioni politiche (presidenziali e parlamentari) che si sono svolte in Sudafrica il 29 maggio scorso: a giudizio di molti, le più importanti da quelle storiche del 1994, che segnarono il passaggio del Paese dal regime dell'apartheid a un sistema autenticamente democratico, con superamento della discriminazione razziale e con la partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica. Le recenti elezioni - che coincidono dunque con il trentesimo anniversario di quella svolta storica - segnano infatti il crollo e la fine della maggioranza assoluta di cui dal 1994 aveva goduto L'African National Congress (ANC), il partito di Nelson Mandela, principale protagonista di una lotta politica contro l'apartheid protrattasi per oltre 40 anni. Una rendita di posizione che sembrava destinata a durare per sempre: è rimasta famosa un'affermazione dell'ex-Presidente Jacob Zuma, secondo la quale l'ANC avrebbe potuto contare su una maggioranza assoluta "fino al ritorno di Gesù Cristo in terra".Così non è stato, e i recenti risultati elettorali hanno aperto per il Sudafrica una pagina nuova, suscettibile di esercitare un'influenza su altri Paesi dell'Africa australe.

Il Paese aveva iniziato bene la sua nuova avventura democratica. Si era dotato di una Costituzione molto avanzata, di una Corte Costituzionale che ha inciso profondamente sui suoi equilibri sociali, di una commissione elettorale imparziale, e aveva garantito piena libertà' di associazione e di stampa. Aveva inoltre creato una rete di assistenza sociale molto ambiziosa: il 47% dei cittadini sudafricani riceve oggi sussidi dallo Stato, di cui - calcolati i familiari a carico - beneficia dunque la maggioranza della popolazione. Sussidi il cui totale ammonta oggi al 4% circa del PIL. Inoltre, una politica di "affermative action" ha consentito la nascita di una classe media di colore, pari ormai ai due terzi di quella complessiva.

La nuova situazione politica permetteva un forte afflusso di investimenti esteri: di conseguenza, l'economia cresceva a un tasso annuo del 3,7% nel decennio 1994-2004, fino a sfiorare il 5% durante il secondo mandato presidenziale di Thabo Mbeki.

Questo scenario iniziale ha subito un brusco deterioramento a seguito della crisi finanziaria internazionale del 2008 e al successivo avvento al potere di Jacob Zuma, la cui presidenza viene definita da molti "il decennio perduto del Sudafrica ". Il tasso di crescita annuo dell'economia è sceso all'1,4%, risultandone inferiore a quello dell'incremento demografico; il reddito pro-capite dei sudafricani è quindi sceso sotto quello del 2008, mentre la disoccupazione - secondo stime del FMI - ha raggiunto il 34,7%, con una punta del 44% per il settore giovanile. La piaga strutturale delle diseguaglianze si è accentuata, portando il coefficiente Gini allo 0,63, uno dei più' alti del mondo.

Altro problema crescente è stato quello della sicurezza. Il numero di omicidi per 100.000 abitanti è salito dal 31 del 2013 al 44,6% nel 2023, uno dei tassi più alti del mondo; la criminalità' dilaga soprattutto nelle "townships", i quartieri dei neri più' indigenti, ed è legata a un coinvolgimento crescente del Paese nel traffico internazionale di stupefacenti. Secondo stime della Banca Mondiale la criminalità costerebbe oggi al Sudafrica il 10% del suo PIL annuale.

A questo deterioramento economico e delle condizioni di sicurezza si è aggiunta un'ondata di scandali, soprattutto durante il secondo mandato presidenziale di Zuma: dagli stretti e opachi rapporti con la famiglia imprenditoriale dei Gupta alla progressiva "occupazione dello Stato" con persone di fiducia del Presidente spesso incompetenti e corrotte, con grave pregiudizio per importanti istituzioni pubbliche quali magistratura, polizia, servizi segreti, SARS (l'agenzia delle entrate, nota in precedenza per la sua efficienza), l'ente per l'energia elettrica ESKOM (che nel 2001 era stata definito dal Financial Times "il migliore del mondo") e quello per i trasporti ferroviari, i porti e gli oleodotti TRANSNET, il cui pessimo funzionamento avrebbe causato negli ultimi due anni alle esportazioni sudafricane la perdita di un miliardo di Rand al giorno. La crisi dell'Eskom, in particolare, provocava - a partire dal 2006 - ripetuti e prolungati tagli di corrente, molto sentiti dalla popolazione e dovuti a difetti di progettazione di nuovi impianti e di manutenzione di quelli esistenti, nonché a una corruzione diffusa a tutti i livelli.

L'effetto congiunto della stagnazione economica, di una criminalità dilagante e degli scandali ha provocato nella popolazione un diffuso stato di pessimismo e di frustrazione: da un recente sondaggio risulta che il 79% degli intervistati sostiene oggi di non avere più fiducia nei leader politici, e il 72% si dice disposto a rinunciare al diritto di voto in cambio di un governo capace di garantire più posti di lavoro e maggiore sicurezza. A farne le spese, comprensibilmente, è stato soprattutto il partito al governo: alle elezioni amministrative del 2016 l'ANC perdeva tre delle principali città del Paese, scendendo - su scala nazionale - dal 62 al 53,9% dei consensi. Un campanello di allarme che nel febbraio 2018 indusse la dirigenza del partito ad imporre le dimissioni a Jacob Zuma, pena una mozione di sfiducia in Parlamento: sulle convulse vicende che portarono a quel risultato ho riferito in una Lettera Diplomatica del 19 febbraio 2018.

Le dimissioni forzate di Zuma portarono automaticamente alla massima carica dello Stato il Vicepresidente Cyril Ramaphosa. Le dimensioni storiche del personaggio (era stato il principale negoziatore con la controparte bianca per l'uscita graduale del Paese dall'apartheid), nonché le capacità imprenditoriali di cui aveva dato prova negli anni successivi passati nel settore privato, generarono nel Paese un'ondata di entusiasmo (la stampa parlò di "Ramaphoria") e di aspettative che purtroppo si sarebbero rivelate eccessive: sentimenti che avevo condiviso nel 2018. Un entusiasmo molto diffuso nel mondo degli affari, e che si estese all'estero, generando un cospicuo afflusso di investimenti stranieri.

Grazie a questo nuovo clima di ottimismo, Ramaphosa riuscì a limitare i danni per l'ANC alle elezioni generali del 2019, consentendogli di conservare la maggioranza assoluta (57,50% dei voti), sia pure con una flessione del 5% rispetto alle consultazioni precedenti.

La luna di miele di Ramaphosa con l'elettorato durò poco più di un anno. Le riforme promesse furono insufficienti e lentissime, a causa di una ricerca ossessiva del consenso prima di ogni decisione importante, e di una forte riluttanza a rimuovere e perseguire i principali collaboratori e sostenitori di Zuma: il che non impedì a costoro di raccogliersi in una fazione ostile intorno al Segretario generale del Partito Ace Magashule. In altre parole, Ramaphosa antepose alle esigenze del Paese quella di mantenere a qualsiasi costo l'unità dell'ANC.

Ne derivò uno stile di governo incerto ed esitante, lontano da quello di cui il Sudafrica avrebbe avuto bisogno in un momento di crescenti difficoltà. Lontano soprattutto dalle eccessive aspettative iniziali.

A ciò si sono aggiunte, nel 2020, la pandemia del Covid-19 e la scoperta, da parte di ricercatori sudafricani, di una "variante sudafricana" del morbo, con inevitabili ripercussioni internazionali. Ramaphosa è stato tra i più pronti a reagire, imponendo drastiche misure restrittive dei movimenti, e assumendo la leadership del continente africano nel rivendicare una massiccia fornitura di vaccini all'Africa (sua la denuncia di una "apartheid dei vaccini" imputata all'Occidente). Le sue iniziative, pur approvate da molti osservatori, hanno provocato una crescente insoddisfazione nella popolazione sudafricana per la loro drasticità e per le persistenti carenze del sistema sanitario pubblico del Paese. Quello che per il Presidente avrebbe potuto divenire un punto di forza contribuì insomma ad un'erosione della sua popolarità. Per non parlare della corruzione dilagante: due terzi dei fondi spesi per l'occasione tra aprile e agosto 2020 finirono sotto inchiesta.

Altro fattore che ha giocato contro l'ANC è stato quello demografico: molti elettori nati dopo il 1994 non hanno mai vissuto personalmente il dramma dell'apartheid, limitandosi a racconti di genitori e parenti. Da qui la comprensibile tendenza delle giovani generazioni ad anteporre le carenze e la corruzione dell'ANC agli indiscutibili meriti acquisiti nella lotta contro un sistema ingiusto e brutale.

Tutti questi nodi sono giunti al pettine alle elezioni del 29 maggio scorso.

Il crollo dell'ANC (dal 57,5%del 2019 al 40,21% e da 230 a 159 seggi sui 400 dell'Assemblea Nazionale) è stato clamoroso, e ha superato ogni previsione dei suoi dirigenti (i quali avevano sperato di contenere il calo entro il 45%, che avrebbe loro consentito di allearsi con alcuni dei numerosi partiti minori presenti in Parlamento, rispetto ai quali l'ANC avrebbe mantenuto una sicura egemonia). Il lento declino elettorale del partito (69,69% nel 2004, 65,9% nel 2009, 62% nel 2014, 57,5% nel 2019) ha dunque subito una brusca accelerazione. Oltre al Western Cape, la provincia di Città del Capo (che dal 2009 è governata dall'opposizione) l'ANC ha perso una seconda provincia importante, il Kwa Zulu -Natal di Durban, seconda città e principale porto del Paese, per il quale transita il 60% delle esportazioni sudafricane.

La dirigenza del partito ha comunque confermato la sua fiducia in Ramaphosa, il quale - in un discorso televisivo del 2 giugno scorso - ha dichiarato di accettare la volontà del popolo e ha annunciato consultazioni con altri partiti per la formazione di un governo di coalizione.

Al secondo posto, Democratic Alliance (DA, partito liberale di centro) si è confermata come principale forza di opposizione, ottenendo il 21,7% dei voti (risultato pressoché invariato rispetto al 2019) e 87 seggi in Parlamento (più 3 rispetto al 2019). Punto forte del partito è la sua reputazione di buon governo nella provincia del Western Cape e nella municipalità di Città del Capo. Sua principale debolezza è quella di essere percepito come il partito dei bianchi e dei "coloureds" (i meticci, maggioritari nel Western Cape): il che gli ha sinora impedito di rendersi accettabile ai quattro quinti della popolazione sudafricana.

Se l'ANC è il grande sconfitto di queste elezioni, il principale vincitore è stato - paradossalmente - l'uMkhonto we Sizwe" (M.K., o "Lancia della Nazione": un nome significativamente ripreso da quello del braccio armato dell'ANC nella lotta contro l'apartheid), fondato appena sei mesi fa dal controverso ex-Presidente Jacob Zuma. Esso ha superato il 45% dei voti nella provincia del Kwa Zulu- Natal, relegando l'ANC ad un umiliante terzo posto (dietro anche all'Inkatha Freedom Party) con meno del 20% dei consensi; e si è affermato come terzo partito su scala nazionale, con il 14,59% dei voti e 58 seggi all'Assemblea Nazionale. L'etnia largamente prevalente in quella provincia è quella Zulu, cui appartiene Zuma: una circostanza probabilmente decisiva per comprendere questo risultato sorprendente (dati i molti disastri della Presidenza Zuma), che ha contribuito in misura decisiva alla perdita della maggioranza assoluta a livello nazionale da parte dell'ANC. L'aspetto forse più inquietante di questo inatteso sviluppo, che ricorda in modo sinistro le tattiche divisive dell'apartheid, è che esso sembra reintrodurre nel panorama politico sudafricano il fattore tribale: un fattore importante in tanti altri Paesi africani, ma dal quale il Sudafrica democratico sembrava essersi immunizzato grazie alla vocazione unitaria e "meta- tribale" dell'ANC e alla vigorosa mescolanza di etnie verificatasi da oltre un secolo nel grande crogiuolo interetnico di Johannesburg.

Per Zuma si è trattato di una clamorosa rivincita su Ramaphosa, che a suo avviso lo avrebbe ingiustamente spodestato nel 2018. Il programma del suo partito prevede l'espropriazione senza compenso delle terre (in gran parte possedute ancora dai bianchi) e una modifica radicale della Costituzione.

Al quarto posto, con il 9,5% dei voti e 39 seggi in Parlamento (-5 rispetto al 2019) figura "Economic Freedom Fighters", partito fondato nel 2013 da un altro personaggio controverso, Julius Malema, già capo del movimento giovanile dell'ANC, dal quale fu espulso perle sue durissime polemiche con l'allora Presidente Zuma. Il programma di EFF è molto radicale, sostenendo l'insufficienza della svolta politica del 1994 e prevedendo l'espropriazione senza compenso delle terre, nonché la nazionalizzazione delle banche, delle miniere delle principali imprese sudafricane. Il risultato ottenuto, inferiore al 10,7% del 2019, è sicuramente molto inferiore alle aspettative di Malema; anche EFF ha sofferto insomma la concorrenza dell'MK di Zuma, che ne ha sposato il radicalismo.

I risultati delle recenti consultazioni pongono ora l'ANC di fronte a un dilemma. Data l'impossibilità di un'alleanza limitata ai partiti minori, esso dovrà scegliere un compagno dì coalizione tra i maggiori partiti attualmente all'opposizione.

Gli ambienti imprenditoriali premono ovviamente in favore di un'alleanza con i liberali di DA; e sembra questo, al momento attuale, l'orientamento di Cyril Ramaphosa, consapevole delle positive conseguenze che questa scelta avrebbe in campo internazionale, con particolare riferimento agli investimenti esteri, di cui il Paese ha urgente bisogno per uscire dalla stagnazione e per tornare a crescere. Il Presidente sembra comunque preferire un accordo che includa, oltre a DA, alcuni partiti minori (quali l'Inkatha Freedom Party, altro partito dell'etnia Zulu che verrebbe scelto in alternativa all'MK di Zuma), per un dicastero che verrebbe presentato come governo di unità Nazionale.

Una parte cospicua dei dirigenti dell'ANC (incluso, il vicepresidente Paul Mashatile) sembra invece preferire una coalizione con l'MK di Zuma (allargata, eventualmente, all'EFF di Malema), il che comporterebbe per la politica sudafricana una svolta radicale: una prospettiva che rende inquieti i mercati, come hanno dimostrato nei giorni scorsi un deprezzamento del Rand e un andamento negativo della borsa di Johannesburg.

In entrambi i casi, l'esperienza e le implicazioni di un governo di coalizione rappresentano, per il Sudafrica democratico, un'assoluta novità, che evocherà in qualche misura il ricordo del periodo di transizione anteriore alle elezioni del 1994.

Le recenti elezioni sudafricane potrebbero avere un impatto su altri Paesi dell'Africa australe, nei quali i rispettivi movimenti di liberazione hanno sinora goduto di un monopolio del potere: dal Botswana alla Namibia, dallo Zimbabwe al Mozambico. A condizione, naturalmente, che quelle popolazioni siano libere di scegliere in processi elettorali autenticamente democratici e trasparenti, come quello sudafricano: una prospettiva non sempre e dovunque scontata, allo stato attuale delle cose.

LETTERA DIPLOMATICA n. 1377

Roma, 6 giugno 2024

Circolo di Studi Diplomatici di Roma

Elio MENZIONE

Towards a new South Africa?

In a year full of electoral consultations, the political elections (presidential and parliamentary) which took place in South Africa on 29 May deserve particular attention: in the opinion of many, the most important since the historic ones of 1994, which marked the transition of the country from the apartheid regime to a truly democratic system, with the overcoming of racial discrimination and with the participation of all citizens in political life. The recent elections - which therefore coincide with the thirtieth anniversary of that historic turning point - in fact mark the collapse and end of the absolute majority that the African National Congress (ANC), Nelson Mandela's party, the main protagonist of a political struggle against apartheid that lasted for over 40 years. A positional income that seemed destined to last forever: a statement by ex-President Jacob Zuma remained famous, according to which the ANC could count on an absolute majority "until the return of Jesus Christ to earth". This was not the case, and the recent election results have opened a new page for South Africa, capable of exerting an influence on other southern African countries.

The country had started its new democratic adventure well. It had a very advanced Constitution, a Constitutional Court that had a profound impact on its social balance, an impartial electoral commission, and had guaranteed full freedom of association and of the press. He had also created a very ambitious social assistance network: 47% of South African citizens today receive subsidies from the State, from which - once the dependent family members are calculated - the majority of the population therefore benefits. Subsidies whose total today amounts to around 4% of GDP. Furthermore, an "affirmative action" policy has allowed the birth of a black middle class, now equal to two thirds of the overall one.

The new political situation allowed a strong inflow of foreign investments: consequently, the economy grew at an annual rate of 3.7% in the decade 1994-2004, reaching almost 5% during Thabo Mbeki's second presidential term.

This initial scenario suffered a sharp deterioration following the international financial crisis of 2008 and the subsequent coming to power of Jacob Zuma, whose presidency is defined by many as "South Africa's lost decade". The annual growth rate of the economy fell to 1.4%, lower than that of the population increase; the per capita income of South Africans has therefore fallen below that of 2008, while unemployment - according to IMF estimates - has reached 34.7%, with a peak of 44% for the youth sector. The structural plague of inequalities has worsened, bringing the Gini coefficient to 0.63, one of the highest in the world.

Another growing problem has been that of security. The number of homicides per 100,000 inhabitants rose from 31 in 2013 to 44.6% in 2023, one of the highest rates in the world; crime is rampant especially in the "townships", the neighborhoods of the poorest blacks, and is linked to the country's growing involvement in international drug trafficking. According to World Bank estimates, crime would now cost South Africa 10% of its annual GDP.

Added to this deterioration in the economy and security conditions was a wave of scandals, especially during Zuma's second presidential term: from the close and opaque relations with the Gupta business family to the progressive "occupation of the State" with trusted people of the Presidents who are often incompetent and corrupt, with serious damage to important public institutions such as the judiciary, the police, the secret services, SARS (the revenue agency, previously known for its efficiency), the electricity company ESKOM (which in 2001 had been defined by the Financial Times as "the best in the world") and that for rail transport, ports and TRANSNET oil pipelines, whose poor functioning would have caused South African exports to lose one billion Rands a day in the last two years . The Eskom crisis, in particular, caused - starting from 2006 - repeated and prolonged power cuts, deeply felt by the population and due to defects in the design of new plants and maintenance of existing ones, as well as widespread corruption among all the levels.

The combined effect of economic stagnation, rampant crime and scandals has caused a widespread state of pessimism and frustration among the population: a recent survey shows that 79% of those interviewed today say they no longer trust political leaders, and 72% say they are willing to give up the right to vote in exchange for a government capable of guaranteeing more jobs and greater security. Understandably, it was above all the ruling party that paid the price: in the 2016 local elections the ANC lost three of the country's main cities, falling - on a national scale - from 62 to 53.9% of the vote. An alarm bell that in February 2018 led the party leadership to force the resignation of Jacob Zuma, under penalty of a motion of no confidence in Parliament: I reported on the frantic events that led to that result in a Diplomatic Letter dated 19 February 2018.

Zuma's forced resignation automatically brought Vice President Cyril Ramaphosa to the highest office in the state. The historical dimensions of the character (he had been the main negotiator with the white counterpart for the country's gradual exit from apartheid), as well as the entrepreneurial skills he had demonstrated in the following years spent in the private sector, generated a wave in the country of enthusiasm (the press spoke of "Ramaphoria") and expectations that unfortunately would prove to be excessive: feelings that I shared in 2018. An enthusiasm that was widespread in the business world, and which extended abroad, generating a conspicuous influx of foreign investments.

Thanks to this new climate of optimism, Ramaphosa managed to limit the damage for the ANC in the 2019 general elections, allowing it to maintain its absolute majority (57.50% of the votes), albeit with a decline of 5% compared to the consultations previous ones.

Ramaphosa's honeymoon with the electorate lasted just over a year. The promised reforms were insufficient and very slow, due to an obsessive search for consensus before every important decision, and a strong reluctance to remove and prosecute Zuma's main collaborators and supporters: which did not prevent them from gathering in a faction hostile around Party General Secretary Ace Magashule. In other words, Ramaphosa put the needs of the country before maintaining the unity of the ANC at any cost.

The result was an uncertain and hesitant style of government, far from what South Africa would have needed in a time of growing difficulty. Above all, far from the excessive initial expectations.

Added to this, in 2020, was the Covid-19 pandemic and the discovery, by South African researchers, of a "South African variant" of the disease, with inevitable international repercussions. Ramaphosa was among the quickest to react, imposing drastic restrictive measures on movements, and assuming leadership of the African continent in demanding a massive supply of vaccines to Africa (he denounced a "vaccine apartheid" attributed to the West) . His initiatives, although approved by many observers, have caused growing dissatisfaction in the South African population due to their drastic nature and the persistent shortcomings of the country's public health system. What could have become a strong point for the President ultimately contributed to an erosion of his popularity. Not to mention the rampant corruption: two-thirds of the funds spent on the occasion between April and August 2020 ended up under investigation.

Another factor that played against the ANC was the demographic one: many voters born after 1994 have never personally experienced the drama of apartheid, limiting themselves to stories from parents and relatives. Hence the understandable tendency of the younger generations to put the shortcomings and corruption of the ANC before the indisputable merits acquired in the fight against an unjust and brutal system.

All these issues came to a head in the elections of May 29th.

The collapse of the ANC (from 57.5% in 2019 to 40.21% and from 230 to 159 seats out of the 400 in the National Assembly) was sensational, and exceeded all predictions of its leaders (who had hoped to contain the drop to within 45%, which would have allowed them to ally themselves with some of the numerous smaller parties present in Parliament, over which the ANC would have maintained a secure hegemony). The slow electoral decline of the party (69.69% in 2004, 65.9% in 2009, 62% in 2014, 57.5% in 2019) has therefore undergone a sharp acceleration. In addition to the Western Cape, the province of Cape Town (which has been governed by the opposition since 2009) the ANC has lost a second important province, the Kwa Zulu -Natal of Durban, the second city and main port of the country, for which 60% of South African exports pass through it.

The party leadership, however, confirmed its trust in Ramaphosa, who - in a televised speech on 2 June - declared that he accepted the will of the people and announced consultations with other parties for the formation of a coalition government.

In second place, Democratic Alliance (DA, center liberal party) confirmed itself as the main opposition force, obtaining 21.7% of the votes (almost unchanged compared to 2019) and 87 seats in Parliament (3 more than 2019 ). The party's strong point is its reputation for good governance in the province of the Western Cape and in the municipality of Cape Town. Its main weakness is that of being perceived as the party of whites and "coloureds" (the coloureds, the majority in the Western Cape): which has so far prevented it from making itself acceptable to four fifths of the South African population.

If the ANC is the big loser of these elections, the main winner was - paradoxically - the uMkhonto we Sizwe" (M.K., or "Spear of the Nation": a name significantly taken from that of the armed wing of the ANC in the struggle against apartheid), founded just six months ago by the controversial ex-President Jacob Zuma. It exceeded 45% of the votes in the province of Kwa Zulu-Natal, relegating the ANC to a humiliating third place (also behind the Inkatha Freedom Party) with less than 20% of the votes; and established itself as the third party on a national scale, with 14.59% of the votes and 58 seats in the National Assembly. The largely prevalent ethnic group in that province is the Zulu, to which Zuma belongs: a circumstance that is probably decisive in understanding this surprising result (given the many disasters of the Zuma Presidency), which contributed decisively to the loss of the absolute majority at the national level by part of the ANC. Perhaps the most disturbing aspect of this unexpected development, which is sinisterly reminiscent of the divisive tactics of apartheid, is that it seems to reintroduce the tribal factor into the South African political landscape: an important factor in many other African countries, but from which South Africa democracy seemed to have immunized itself thanks to the unitary and "meta-tribal" vocation of the ANC and the vigorous mixing of ethnic groups that had occurred for over a century in the great inter-ethnic melting pot of Johannesburg.

For Zuma it was a sensational revenge on Ramaphosa, who in his opinion would have unjustly ousted him in 2018. His party's program includes the expropriation without compensation of lands (largely still owned by whites) and a radical change of the Constitution.

In fourth place, with 9.5% of the votes and 39 seats in Parliament (-5 compared to 2019) is "Economic Freedom Fighters", a party founded in 2013 by another controversial figure, Julius Malema, former head of the youth movement of ANC, from which he was expelled for his harsh controversies with the then President Zuma. The EFF program is very radical, arguing the insufficiency of the political turning point of 1994 and providing for the expropriation of land without compensation, as well as the nationalization of banks and mines of the main South African companies. The result obtained, lower than the 10.7% of 2019, is certainly much lower than Malema's expectations; In short, the EFF also suffered from competition from Zuma's MK, which embraced its radicalism.

The results of the recent consultations now present the ANC with a dilemma. Given the impossibility of an alliance limited to minor parties, it will have to choose a coalition partner from among the major parties currently in opposition.

The business circles are obviously pushing in favor of an alliance with the DA liberals; and this seems to be the orientation of Cyril Ramaphosa at the current moment, aware of the positive consequences that this choice would have in the international field, with particular reference to foreign investments, which the country urgently needs to emerge from stagnation and return to growth . The President, however, seems to prefer an agreement that includes, in addition to the DA, some minor parties (such as the Inkatha Freedom Party, another party of the Zulu ethnic group that would be chosen as an alternative to Zuma's MK), for a ministry that would be presented as government of national unity.

A large part of the ANC leaders (including vice-president Paul Mashatile) seems to prefer a coalition with Zuma's MK (possibly extended to Malema's EFF), which would mean a radical turning point for South African politics: a prospect that makes the markets restless, as demonstrated in recent days by the depreciation of the Rand and a negative performance of the Johannesburg stock exchange.

In both cases, the experience and implications of a coalition government represent, for democratic South Africa, an absolute novelty, which will to some extent evoke the memory of the transition period prior to the 1994 elections.

The recent South African elections could have an impact on other southern African countries, in which their respective liberation movements have so far enjoyed a monopoly on power: from Botswana to Namibia, from Zimbabwe to Mozambique. Provided, of course, that those populations are free to choose in authentically democratic and transparent electoral processes, such as the South African one: a prospect that is not always and everywhere a given, in the current state of affairs.

DIPLOMATIC LETTER N. 1377

Rome, 6th June 2024

Circolo di Studi Diplomatici di Roma

Elio MENZIONE

Atlantis 2/2024